vi consiglo di reperire i libri pubblicati dal "il Cercio" circa le insorgenze venete c'è da rabbrvidire circa le fucilazioni arbitrarie francesi, e la resistenza dei veneti di fronte ai "liberatori". non tuti i nobili erano delle mammole, anzi ricordiamo il podestà di treviso che non si piegò agli ordini di napoleone di abbandonare la città... peccato ce ne fossero pochi come lui... peccato che la storia e i testi scolastici volutamente dimentichino certi episodi....
vi allego i fatti di Salò, dal racconto traspare molte cose in primi la larga autonomia che le Repubblica vebneta condedeva.... la diversità della stessa di gestire le risolrse e gli uomini... ma sopratuto l'attacamento della gente ala Dominante.... buona lettura
1 aprile 1797, Salò.
Gli abitanti di Maderno, Tuscano e Teglio, senza frapporre indugio, presero a loro volta le armi e s’affrettarono a raggiungere i Marcolini di Salò. La cittadina era in quel periodo, un centro importante sul lago di Garda e godeva sotto la Repubblica Veneta di una vasta autonomia. Governata da un Podestà Veneziano, fu “Democratizzata” il 28 marzo, ma già il 29 abbatté l’albero della libertà ”, innescando immediatamente il sollevamento di altre cittadine. Questo spiega l’immediata reazione giacobina. I traditori bresciani, misero in campo, contro il paese, una colonna di un migliaio di uomini, fra le cui file vi erano molti legionari polacchi, e truppa di linea francese, travestiti da patrioti bresciani (detto in senso ironico “e cosi amavano farsi chiamare i giacobini, ossia amanti per eccellenza della patria”) o da cispadani . Minacciando prima di ridurre quella contrada in un ammasso di ruderi, preferirono poi inviare parlamentari per iniziare trattative per una resa. Accortisi però i salodiani del tentativo dei bresciani di introdursi, com’erano avvezzi a fare, con l’inganno in città, i Marcolini aprirono il fuoco uccidendone e ferendone un certo numero. Gli insorgenti giacobini, infuriati per queste e altre perdite, convinti sempre più d’aver la vittoria in pugno, forti per l’arrivo di due cannoni, ripresero determinati l’attacco. “Lo scontro fu cruentissimo, in quanto in alcuni punti si combatteva corpo a corpo e per la superiorità di numero e di mezzi dopo alcune ore pendeva dalla parte degli aggressori, malgrado la buona volontà dei difensori, che avrebbero dovuto soccombere. Quando a decidere le sorti intervennero, del tutto inaspettati, gli abitanti della Val Sabbia . Questi montanari, riunitisi a consiglio secondo il loro costume degli antichi comuni avean deliberato come un sol uomo di unir le loro sorti a quelle di Salò e dei ottanta schiavoni delle compagnie sciolte del Reggimento Matutin d’istanza a Bardolino e che già affiancavano i salodiani nei combattimenti”. Quelli della Val Sabbia avevano affidato il comando delle loro Cernide a uno dei loro preti, Don Andrea Filippi parroco di Barghe. L’improvvisato comandante, informato dei combattimenti in corso intorno alla città di Salò, diede prova di qualità strategiche insolite, e divisa la sua truppa in tre colonne piombò sulle milizie giacobine da tre diverse direttrici. Di fronte all’impatto furioso dei montanari, la rotta dei seguaci delle nuove idee fu totale e disordinata. Stretti fra i valligiani trionfanti e le acque del lago, dopo aver lasciato sul terreno un gran numero di morti e una moltitudine di feriti (72 morti e circa 200 feriti), non rimase che agli insorgenti giacobini una scelta: una disonorevole resa. Tale sconfitta praticamente decapitò l’intera classe dirigente dei traditori, dal momento che fra i prigionieri condotti a Salò: “annoverarsi due Lechi, il Gabara , e altri non pochi rappresentanti dei più illustri casati di Brescia e di Bergamo”. I prigionieri, circa cinquecento, vennero poi condotti da Salò a Venezia per poi esser custoditi nel forte si Sant’ Andrea, passando da Verona dove l’accoglienza a loro riservata dal popolo non fu delle migliori. E’ lo stesso Gambara che la descrive in un suo rapporto successivo: “passammo per mezzo di un popolo furibondo che c’insultava con fischiate, minacce, sputi e imprecazioni…colà come vili animali esposti alla brutalità veronese passammo ogni sorta di patimenti. Laceri e in parte denudati formammo gradito spettacolo a quella ciurmaglia”.
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