La composizione etnica della fanteria Austro-Ungarica nella 1^GM - II^ parte |
Escrito por A. | |
La composizione etnica dei reggimenti di fanteria di linea dell’esercito Austro-Ungarico Il corpo ufficiali Il corpo ufficiali dell’esercito imperialregio era granitico nella sua fedeltà all’Imperatore, tendenzialmente non coinvolto in ruoli politici ed, a differenza di quello prussiano, doveva comunque rispondere, per preciso volere degli Imperatori che si erano via via succeduti, all’autorità civile (il governo) ed alla famiglia imperiale, che sempre aveva propri esponenti presenti nelle alte gerarchie militari, e spessissimo non con funzioni meramente decorative o di presenza. La composizione etnica era differente rispetto a quella del resto dell’esercito, in quanto, pur essendovi rappresentate tutte le etnie dell’Impero, più della metà degli ufficiali di carriera erano Austriaci o comunque germanofoni (il 78,7% nel 1910). Le cose cambiavano considerando anche gli ufficiali della riserva (molto grosso modo equivalente al nostro “complemento”), dove questa differenza era meno marcata e le altre etnie erano più rappresentate (per esempio, Austriaci ed altri germanofoni scendevano al 60,2%, mentre gli Ungheresi salivano dal 9,3% al 23,7%); con la mobilitazione generale del 1914, poi, la differenza sarebbe andata a diluirsi ancora. Tra gli ufficiali della riserva era significativa la presenza di molti israeliti (circa il 17%), soprattutto, la cosa magari può sorprendere, tra gli ufficiali medici (in questo caso, anche tra quelli di carriera; nei testi da me consultati spesso si evidenzia il fatto che l’ufficiale medico del battaglione fosse di religione ebraica). A scopo di curiosità aggiungo che anche Sigmund Freud lo era stato. Ufficiali dell’esercito imperialregio nella Grande Guerra erano stati Karol Wojtyla, omonimo nonché padre di Papa Giovanni Paolo II, il comandante dell’esercito di insurrezione nazionale polacca di Varsavia del 1944 Tadeusz “Bor” Komorowski e molti altri suoi ufficiali (Anders invece, il comandante del corpo di spedizione polacco in Italia era stato ufficiale zarista), gli ungheresi ammiraglio Horthy (reggente d’Ungheria), Béla Kun (capo della governo comunista rivoluzionario ungherese del 1919) ed Imre Nagy (l’uomo simbolo della rivolta del 1956), il volksdeutsch della Transilvania Arthur Phleps (comandante della 7^ divisione Waffen-SS “Prinz Eugen”) ed altri generali dell’esercito tedesco della seconda guerra mondiale come l’austriaco Julius Ringel, mentre il Maresciallo Tito era stato sottufficiale in un reggimento croato della Honved, venendo ferito sul fronte orientale combattendo contro i Russi. A scopo di curiosità e senza volermi lanciare in una indagine sociologica sulla provenienza familiare degli ufficiali di carriera, aggiungo che pochi erano gli aristocratici tout court, e soprattutto quanto prevedibilmente concentrati nell’arma di cavalleria. Molti ufficiali provenivano dalla piccola borghesia di provincia, da famiglie di soldati che gli avevano fatto frequentare le scuole reggimentali, e venivano nobilitati (con il famoso “von”) solo dopo moltissimi anni di onorato servizio (in inglese si usa il termine molto efficace “service nobility”), così come accadeva per i funzionari civili di alto rango. Il dato specifico del 1896 vedeva solo un 1,90% del corpo ufficiali appartenere alla grande nobiltà aristocratica ed ereditaria; il 20,78% erano nobilitati, mentre il restante 77,32% non aveva alcun titolo ed erano comuni cittadini. L’esercito multietnico alla prova della guerra Dal punto di vista strettamente militare, questa pluralità etnica creava pochi o punti problemi. La mobilitazione non aveva evidenziato fenomeni di diserzione legata a rivendicazioni nazionali, e per mantenere disciplina e coesione non era necessario utilizzare i metodi brutali e barbari usati senza troppa parsimonia dall’esercito italiano, ma, sui fronti orientale e balcanico, oltre alla durezza di alcuni ufficiali ed episodi, così possiamo dire, fisiologici nella Grande Guerra, alcuni espedienti che poi vedremo. Un generale della Isonzoarmee poteva affermare senza problemi che “mai, prima di lanciare nel combattimento una unità, si era dovuto soffermare sulla sua composizione etnica”. La teoria del grande Cancelliere di ferro Otto von Bismarck secondo la quale ad un solo cenno di Francesco Giuseppe tutte le nazionalità dell’Impero lo avrebbero seguito, si rivelava così esatta. Qualche problema si era manifestato sul fronte orientale, ove le condizioni di vita erano disastrose specie sui Carpazi, con alcune unità slave poco combattive, anche se l’unico esempio rilevante portato dagli storici è quello della resa senza combattere ai Russi del 28° Reggimento praghese; un po’ poco per affermare, come alcuni fanno, che la propaganda panslavista aveva avuto grande diffusione e successo nei reparti slavi (panslavismo: idea che postula l’unione dei popoli slavi sotto la guida della Russia; nell’800 aveva attratto pochi intellettuali, ma non aveva avuto alcun seguito tra le popolazioni slave della Monarchia, che, a parte i serbi ed alcuni ucraini, non erano nemmeno di religione ortodossa); nessun altro reparto imiterà così platealmente il 28°, tranne il 36° Reggimento Fanteria di linea boemo mentre il 13° Reggimento Landwehr (chiamato anche Schützen; la Landwehr era la fanteria territoriale della parte “austriaca” dell’Impero, la Honved di quella “ungherese”) moravo aveva anch’esso creato dei problemi. A proposito del 28° Reggimento (intitolato, anche a guerra in corso, a Vittorio Emanuele III Re d’Italia), è anche interessante conoscere la sua successiva sorte. Dopo la poco onorevole resa, il Reggimento era stato sciolto, tranne un battaglione di reclute appena costituito. Questo battaglione combatterà con grande onore sull’Isonzo, portando le gerarchie militari a decidere la ricostituzione del Reggimento stesso.
All’inizio, per evitare problemi, venivano adottati alcuni accorgimenti. Ad esempio, i reparti costituiti da italiani, quali il 97° Reggimento triestino ed i reparti alpini del Tirolo Italiano (Trentino) erano stati tutti inviati sul fronte orientale, da cui poi i reparti alpini torneranno per essere schierati sul fronte italiano, dove combatteranno senza cedimenti morali, mentre resterà sul fronte orientale il 97°, che si rivelerà una delle meno combattive unità militari dell’esercito Imperiale (non certo però per le simpatie irredentiste che qualcuno ipotizza); nonostante ciò, il reggimento non verrà sciolto, né verranno prese misure punitive di tipo cadorniano; il massimo della minaccia, da parte del generale Pflanzer Baltin, sarà quello di inquadrarlo all’interno di una divisione di ungheresi.. Inoltre a guerra in corso si cercava di non far combattere i romeni contro l’esercito romeno, o venivano create brigate di fanteria mescolando battaglioni scelti con battaglioni considerati “scarsi” o “poco affidabili”. Sul fronte italiano questi accorgimenti non serviranno, perché tutte le nazionalità, compresi gli Italiani, si batteranno con il massimo accanimento contro l’esercito italiano, un fatto che fa meditare. Un alto ufficiale imperialregio, rammentando i momenti che portavano alla firma dell’armistizio di Villa Giusti, potrà quindi dire che “mentre la nazione si disfaceva, l’esercito rimaneva in linea”. Dal punto di vista dell’efficienza militare e della combattività, tutte le etnie quindi facevano il loro dovere, nonostante alcuni “incidenti di percorso”. Alcune però si distinguevano, oltre agli Austriaci. Sloveni e Croati rimarranno in linea fino a Vittorio Veneto senza cedimenti, i Dalmati si dimostreranno valorosissimi sul fronte isontino (i fanti del loro Reggimento, il 22°, verranno soprannominati “Leoni del Podgora”), mentre una speciale menzione va ai Musulmani Bosniaci. Combattenti duri, implacabili e temutissimi, fedelissimi alla Monarchia, erano i migliori soldati dell’Impero. Tuttora a Vienna li sento definire “le nostre migliori truppe”. In alcuni testi che ho trovato le etnie erano addirittura classificate in base ad educazione, combattività, comportamento, caratteristiche fisiche eccetera, ma ho ritenuto non opportuno inserire questo argomento in quanto suscettibile di facili e banali generalizzazioni. Tra i prigionieri, invece, più che la propaganda panslavista aveva avuto successo la propaganda rivoluzionaria, ed i prigionieri ritornati nel 1918 dalla Russia, prima di essere rimandati al fronte con loro comprensibile scarso entusiasmo, venivano sottoposti ad un attento esame per individuare gli “attivisti bolscevichi” che andavano controllati con particolare attenzione. Alcuni soldati rimarranno invece in Russia, e combatteranno durante la guerra civile, i più famosi dei quali saranno i Czechi del Corpo Cecoslovacco, che si schiereranno con i “Bianchi”, ed altri, sia Imperiali che Germanici, che combatteranno nell’Asia Centrale, dove erano prigionieri, per poi, in alcuni casi, stabilirvisi definitivamente. I prigionieri di guerra in Italia verranno invece sottoposti alla propaganda nazionalista ad opera dell’esercito italiano, che riuscirà a creare una “Legione Cecoslovacca”, in cui però si arruolerà solo una piccola parte dei prigionieri Cechi e Slovacchi.
Metodo ed informazioni aggiuntive Ogni articolo richiede la determinazione di un metodo, e la cernita delle fonti. Innanzitutto il metodo. Ho scelto, per esporre l’argomento, la fanteria di linea dell’esercito comune perché la fanteria accoglie generalmente la recluta “media”, mentre altre armi richiedono specifiche particolari o tecniche o fisiche. Dell’esercito comune perché i suoi 101 distretti coprivano la totalità dell’Impero, avendo comunque cura di sottolineare anche l’esistenza dei distretti di reclutamento di mare e di montagna. Per ciò che riguarda il corpo ufficiali invece ho dovuto lavorare su dati riguardanti l’intero esercito, non disponendo per il mio scopo di dati più raffinati. Le fonti. Ce ne sono molte; io ho scelto quelle dei vari Uffici Informazione delle armate dell’esercito italiano, e dello Stato Maggiore, i cui documenti ho rinvenuto in varie biblioteche, quindi frutto di una ricerca personale che mi ha dato molta soddisfazione. Vorrei citare i principali : ·Nazionalità delle truppe componenti le divisioni di fanteria e di cavalleria dell’Esercito Austro-Ungarico 1° Agosto 1918, a cura dell’Ufficio Operazioni del Comando Supremo del Regio Esercito Italiano Sono attendibili, nonostante una certa abitudine “all’arrotondamento” delle cifre (avrete notato che le percentuali sono arrotondate alla cinquina), ed una comprensibile mancanza di passione etnologica che ho cercato di colmare. Ho confrontato i dati della mia tabella con le percentuali riportate da Siro Offelli nel suo bellissimo libro in due volumi edito da Gino Rossato Editore “Le armi e gli equipaggiamenti dell’esercito Austro-Ungarico dal 1914 al 1918”, e sostanzialmente coincidono. Una altra interessante fonte è quella del bel sito www.austro-hungarian-army.co.uk a cura di Glenn Jewison e Jörg C. Steiner, che ha come fonte principale il lavoro ufficiale dello Stato Maggiore Imperiale “L’ultima guerra dell’Austria-Ungheria”; i dati sono abbastanza simili, la tabella di questo sito è meno arrotondante alla cinquina, ma le nazionalità minoritarie, anziché essere comunque elencate, sono raggruppate come “varie”, ed in un articolo di questo taglio sarebbe stata una lacuna. Da loro però ho ricavato il dato inerente ai reggimenti dei Tiroler Kaiserjäger, abbastanza in linea con quello di Offelli, dato invece che era alquanto stridente nei documenti a mie mani (erano reggimenti in parte reclutati nel Tirolo Italiano ma vi figuravano pochissimi italiani !). Vorrei ora fornire alcune informazioni aggiuntive alla tabella che ho preparato sui 102 reggimenti di fanteria imperialregi e sui quattro reggimenti di fanteria bosnoerzegovesi. I nomi dei “colonnelli proprietari” (evito di affliggere con il significato storico di questo termine) dei reggimenti sono riferiti all’agosto 1914; la mancanza del nome significa che il titolo era vacante, mentre il “colonnello proprietario” non era previsto per i reggimenti bosnoerzegovesi. Per brevità, di alcuni ho omesso qualifiche, gradi e/o titoli nobiliari. Nella grafia dei nomi e delle città possono mancare dieresi e/o accenti particolari, ma è dovuto al fatto che la tabella è stata redatta in Excel, di cui non conosco tutti i “segreti” di utilizzo. I nomi originari dei distretti di arruolamento sono in tedesco od in ungherese, a seconda dell’appartenenza della città alla parte cisleitanica (austriaca) o transleitanica (ungherese) dell’Impero; visto che questi nomi possono dire poco, ho aggiunto una colonna in cui ho individuato il nome attuale della città, e la nazione in cui si trova. E’ stato un lavoro abbastanza complesso, svolto con sovrapposizione di cartine, consultazione di enciclopedie geografiche e ricerche su Internet.
Note etnologiche · Ho fatto una opportuna distinzione tra “Austriaci” e “Tedeschi”. I “Tedeschi” non sono i tedeschi della Germania, ma le popolazioni germanofone sparse per l’Europa Centrale ed Orientale, come i già citati Sassoni di Transilvania, Svevi del Banato, Tedeschi dei Sudeti, della Slesia, di Ungheria, della Boemia e della Moravia, in tedesco chiamati Volksdeutschen. I Tedeschi dei Sudeti li vedremo protagonisti nel 1938, mentre gli altri Volksdeutschen li ritroveremo spesso base di reclutamento delle divisioni di Waffen-SS durante la Seconda Guerra Mondiale, come quelli dei Balcani nella celebre 7^ divisione da montagna “Prinz Eugen” (questo dei Volksdeutschen è un discorso che esula dall’argomento di questo articolo; chi volesse saperne di più, può chiedere al Webmaster che mi faccia preparare un articolo sull’argomento, o può contattarmi privatamente). Anche la Russia zarista li aveva, i Tedeschi del Volga chiamati dalla Zarina Caterina (alcuni ancora presenti nell’area di Saratov, altri invece nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale, dove erano stati deportati durante l’era di Stalin), ed i Tedeschi del Baltico, i cui nobili erano molto influenti a Corte; si noti anche come molti importanti ufficiali dell’Esercito e della Marina zaristi avessero cognomi tedeschi, spesso preceduti da un “von”. Bibliografia Oltre ai testi già menzionati nel paragrafo delle fonti, mi trovo in difficoltà a citare i molti libri che hanno contribuito a costruire la mia grande passione per l’Impero Asburgico. Ci sono i testi che ho studiato per i due esami universitari che ho sostenuto inerenti all’area geopolitica in questione e fondamentali per capire i la storia di questo Impero ed i suoi meccanismi di funzionamento (mi permetto di segnalare Monarchia e Popoli del Danubio, di V.L. Tapié), altri testi di storia dell’Impero (come Storia dell’Impero Asburgico 1700-1918 di J. Bérenger edito da Il Mulino) e le innumerevoli biografie di Francesco Giuseppe, nonché, visto che la Mitteleuropa è questione di sensibilità, le opere di scrittori come Claudio Magris (Danubio) e Joseph Roth (La Cripta dei Cappuccini, La Marcia di Radetzky). Mi sono limitato ad accennarne solo pochissimi; se qualcuno fosse interessato può rivolgersi a me direttamente per ulteriori consigli. Dal punto di vista militare, aggiungerei anche Beyond Nationalism, a Social and Political History of the Habsburg Officer Corps 1848-1918 di István Deák edito da Oxford University Press (ora disponibile in italiano edito da Libreria Editrice Goriziana con il titolo Oltre il Nazionalismo. Gli Ufficiali della Monarchia Asburgica), lo stupendo Isonzo, il massacro dimenticato della Grande Guerra di John Schindler edito da Libreria Editrice Goriziana, che ha appena dato alle stampe anche L’Esercito di Francesco Giuseppe, di Gunther E. Rothenberg. Altri testi che mi sono stati utili e che consiglio sono Fighting Troops of the Austro-Hungarian Army 1868-1914 di James Lucas edito da Spellmount Ltd., Le Truppe da Montagna dell’Esercito Austro-Ungarico nella Grande Guerra 1914-1918 di Enrico Acerbi edito da Gino Rossato Editore ed il libro a cura del War Office Britannico Handbook of the Austro-Hungarian Army in War, June 1918, edito dall’Imperial War Museum di Londra in collaborazione con The Battery Press Inc.
Riflessione L’indecente trattato di pace di Versailles (denominazione “generalizzante”, in quanto il trattato di pace con l’Austria era stato firmato a Saint-Germain en Laye il 10 settembre 1919 e quello con l’Ungheria a Trianon il 4 giugno 1920) ha azzerato secoli di storia per creare staterelli su base etnica ben più oppressivi verso le proprie minoranze, e che per moltissimi anni hanno avuto vita ben dura. Oltre alle tragedie di ieri, anche oggi l’attualità geopolitica europea presenta delle criticità. Fateci caso, ma quasi tutte queste criticità sono derivanti direttamente dalle ripartizioni territoriali del Trattato di Versailles e dalle ripartizioni di Yalta. Dalla recente crisi in Ucraina, alla divisione della Cecoslovacchia, alle guerre Jugoslave, agli slogan sulla Grande Ungheria di Viktor Orban. Seguendo questo schema, è molto facile prevedere quali saranno i prossimi punti critici. Notate anche un’altra cosa: se vedete una formazione di calcio di una nazione mitteleuropea piuttosto che i nomi dei deputati di queste nazioni al Parlamento Europeo, ci sono cognomi che riflettono anche oggi il crogiolo di razze che era stato l’Impero Asburgico. Uno storico ha detto che nel 1914 l’Europa Centrale ed Orientale era, dal punto di vista etnico, una tavola con tante picchiettature di colori diversi mescolate tra di loro, mentre ora, dopo le follie della Seconda Guerra Mondiale, è una serie di colori stesi in modo uniforme. Non mi trovo d’accordo. Certo, i colori sembrano più uniformi, ma per fortuna le picchiettature di tinte diverse tuttora esistono. Spero che l’argomento, pur non strettamente legato alle uniformi ed all’organizzazione militare, sia stato di interesse per gli amici frequentatori del sito, e di poter tornare ancora sull’argomento esercito imperialregio nella Grande Guerra, la cui affascinante complessità, sia organizzativa che etnica, è stata finora scandalosamente negletta da troppi addetti ai lavori. E senza capire i meccanismi delle nazionalità, non si può comprendere appieno la natura di questo esercito che, come dice Gunther E. Rothenberg, rifletteva l’evoluzione dell’Impero Asburgico, la sua composizione pluralistica ed il suo concetto di stato. |