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Pier Arrigo Carnier, L'armata cosacca in Italia. 1944-1945
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Écrit par Pino Cossuto   

Circa sei anni fa mi recai in "missione" a Trasaghis, tristissimo paesetto friulano, alla ricerca dei resti dei "Cosacchi d'Italia".
Forse sarebbe stato più facile per me comprendere l'idioma circasso, piuttosto che la local favella, ed i contadini del luogo non si sono certo mostrati accoglienti verso quei due "stranieri" (tra i quali un'affascinante ragazza veramente, e non sedicente, celta) venuti dal remoto Veneto a cercar morti "russi".
Quello che si è venuto a scoprire è che, dopo il terremoto, sono sorte numerosissime villette (villone?) nei luoghi ove Carnier situa il cimitero.
A Gemona (che, grazie agli dei, è ancora abitata da Italiani che parlano italiano e non si vergognano di essere ospitali con i forestieri) abbiamo avuto informazione (che le tombe "russe" erano state trasferite in un cimitero di guerra germanico nei dintorni di Desenzano (vado a memoria).
Non so se l'informazione è esatta, e non mi è dato modo di controllare. Fatto sta che, rischiando le schioppettate (o meglio: le furcinate) degli ameni abitanti di Trasaghis siamo riusciti a trovare, fuori dal paese, una spilla dei cosacchi "nazistoni".
Lì c'erano quindi i cavalli dei Cosacchi. O, almeno, ci sono passati.
Questa mia recensione è apparsa prima della "missione", oramai dieci anni fa.
L'interessante articolo appena postato da Marco A. mi invita a riproporla agli amici di SOL.

Pier Arrigo Carnier, L'armata cosacca in Italia. 1944-1945, Mursia, Milano, 1993, pp. 299.

Che numerosi gruppi umani dell'ex Unione Sovietica fossero insofferenti al nuovo ordine instauratosi dopo la Rivoluzione d'Ottobre è cosa nota.
Certamente il nuovo regime dava vita a tutte le interpretazioni possibili nel poliforme mondo della Russia zarista del primo ventennio di questo secolo.
Determinare che potessero significare parole quali "socialismo" per un nomade chirghiso o slogans quali "Proletari di tutto il mondo unitevi" per un mercante tataro di Kazan crediamo sia cosa molto difficile.
Ognuno reagì secondo le proprie necessità, il proprio retaggio storico, i propri interessi, schierandosi nelle diverse parti in causa.
Venticinque anni dopo, in pieno periodo staliniano le popolazioni dell'URSS, specialmente quelli divenute per forza "proletarie", i nomadi sedentarizzati e i contadini collettivizzati, in primo luogo, avevano oramai appreso che dietro le parole d'ordine dei commissari si nascondevano i propositi imperialisti dello Stato centralizzato.
Questo contributo di Carrier ci aiuta a conoscere la tragica vicenda dei non pochi antisovietici che, durante gli ultimi anni della seconda guerra mondiale, furono destinati a combattere nel nord-est della nostra penisola. Fin qui nulla di eccezionale.
In Italia, durante questo conflitto, hanno combattuto tutte o quasi tutte le nazioni del mondo: Maori, Indiani, Pakistani, Berberi, Senegalesi e mille altri, costretti a servire in armi i governi coloniali occidentali.
Il fatto importante è invece, che i cittadini sovietici trasferiti in Italia non furono soltanto inquadrati soldati ma, anche e soprattutto, numerosi profughi che diedero vita ad una vera e propria formazione politica, in un territorio definito, preservando le proprie tradizioni avite e stabilendo contatti simbiotici esemplari con le popolazioni autoctone.
Tra i luoghi italiani ove riposano le spoglie di alcuni di questi profughi vale la pena di ricordare il cimitero "caucasico" di Trasaghis, luogo poco conosciuto in provincia di Udine.
L'A., come esplica egli stesso nella premessa ha impiegato più di trent'anni di ricerche per la stesura di questa nuova stesura del libro, apparso per la prima volta negli anni sessanta.
Nell'estate del 1944, unità di cosacchi vennero trasferite dai tedeschi dalla Polonia nell'Italia nord-orientale per essere destinate alla guerriglia anti-partigiana.
I tedeschi denominarono questo territorio, che ebbe come punto nevralgico la Carnia, Kosakkenland in Nord Italien, mentre per i profughi questo luogo divenne più sinteticamente la Cossackia. Nell'aprile del 1945, nella sola Tolmezzo vi erano circa 40.000 profughi dall'URSS (p. 151), i quali avevano ben 15.000 cavalli e anche 15 cammelli.
Nel capitolo iniziale l'A. ci dona un breve excursus sulle varie popolazioni della Cossackia. Vengono elencati in primo luogo i cosacchi, con il loro sistema di stanitse (villaggi) e con i loro ataman (capi).
Successivamente l'A. dedica qualche riga ai calmucchi e, a nostro parere, riporta alcune rilevanti inesattezze riguardo i kazaki (p. 16): "Nel Kazakistan, i discendenti di Tamerlano e di Chan Tiarka, i figli del Regno dell'Orda d'Oro, cioè i kazaki turco-mongolici, stabilitisi nelle steppe nelle steppe di Orenburg, nell'ampia regione del Turkestan, divennero sudditi dell'Impero russo e formarono i vari reggimenti di "Tartari". A nostro avviso bisognerebbe essere più cauti nell'assegnare ascendenze timuridi ai kazaki, come ad attribuire appartenenze territoriali del tutto errate all'Orda d'Oro che nell'attuale Kazakistan non ha mai esteso il proprio dominio, o a semplificare il termine "khanato" in quello di "regno".
Restano comunque da segnalare le non poche importanti notizie che l'A. riporta, utilissime per arricchire la conoscenza, oltre che dell'argomento specifico, anche e soprattutto delle vicende "civili" dei "Cosacchi" in Italia, ovvero la "nuova Patria" che essi sognarono di fondare e tentarono di attuare. Infatti costoro crearono scuole, istituti d'assistenza, moschee e chiese. Nei dintorni di Caporetto, ad esempio, vennero dislocati contingenti di turchi d'Asia, in buona parte musulmani.
I profughi-soldati vennero principalmente impegnati nella guerriglia antipartigiana e si dimostrarono attivi soprattutto nella repressione della militanza comunista slava ed italiana, memori sicuramente del proprio recente passato in Unione Sovietica.
A p. 142 viene descritta con dovizia di particolari la distruzione di una formazione di partigiani comunisti del battaglione "Stalin" nei pressi di Pesariis ad opera dei circassi.
Del resto era stata creata anche una unità speciale di contro-spionaggo, il gruppo "Ataman", comandato dal capitano Boris Ivanovich Kantemir.
Grande spazio viene dedicato dall'A. Alla divisione turkmena (pp. 108-113) ed alle vicende di un coraggioso Ciagatai, il principe Ciagataiev appunto, il quale venne ucciso dagli agenti titini (p. 124).
Il sogno del Kosakkenland durò fino al tradimento (o meglio la mancanza di fedeltà alla parola data) effettuato dagli Alleati occidentali (Britannici, in primo luogo), che consegnarono ai comunisti sovietici i profughi a loro fiduciosamente e spontaneamente affidatisi. Fu quella la resa dei conti.
Il Canto del Cigno delle genti del Kosakkenland: i sovietici massacrarono i profughi.
Una parabola triste quella del Kosakkenland, fatta di strumentalizzazione, umiliazione e odio.
Ma anche dimostrazione di coesistenza pacifica di genti diverse in terre lontane, di musulmani, cristiani e buddhisti delle più svariate etnie.

Sono state elise le note del testo, presenti nella versione integrale cartacea pubblicata su Oriente Moderno, XV (LXXVI), N° 1 (1996), pp. 166-168.

Giuseppe Cossuto Ph.D. (http://digilander.iol.it/cossuto) si occupa da anni di storia dei popoli turchi e dell'Est Europa. Ha pubblicato due libri e ha all'attivo numerose ricerche e pubblicazioni su riviste internazionali.

Crede fermamente che se ci fossero più soldatini e meno soldati, nel mondo ci sarebbero più colori e meno cadaveri.