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Carri armati tedeschi e italiani nella II^GM - VIII^ Parte
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Écrit par Mario Ragionieri   


Con la battaglia di Falaise per gli Alleati la conquista della Francia era cosa fatta; l’obiettivo più imminente era la conquista della capitale ma molte cose di natura politica ed economiche frenavano questo desiderio. La città era difesa dal generale von Choltitz che aveva ricevuto l’ordine da Hitler di combattere ad oltranza per tenere il più possibile la città; seguendo la filosofia di questo ordine egli aveva spostato le sue forze dotate essenzialmente di armamenti controcarro, sulla riva sinistra della Senna dove avevano formato una grande testa di ponte che copriva la parte occidentale della città. La resistenza francese ritenne che questi movimenti di truppe tedesche fossero un segno di debolezza delle forze tedesche e di conseguenza uscì allo scoperto iniziando una serie di attacchi alle unità germaniche. Per andare in soccorso della città fu deciso di inviare la 2° divisione corazzata francese agli ordini di Leclerc che si trovava ad Argentan; in aiuto a sud della città e a destra di Leclerc fu inviata la 4 Divisione di fanteria americana. Alle 22.00 del 24 agosto Leclerc si trovava nel municipio di Parigi ma con sorpresa scoprì che gli americani erano arrivati per primi. Ci furono momenti di tensione quando De Grulle ordinò alla divisione di Leclerc di sfilare in parata per Parigi ma gli americani non volevano questo spettacolo anzi insistettero perché la divisione francese inseguisse i tedeschi. Alla fine la spuntò De Grulle. Nel frattempo continuava l’inseguimento dei tedeschi; il 12 settembre il 7° e il 12° Corpo chiusero in una piccola sacca vicino a Mons (Belgio) circa 25.000 tedeschi che facevano parte di truppe di retroguardia. L’11 corpo inglese dopo una avanzata di 310 Km. il 4 settembre entrò in Anversa senza che la città subisse danni da parte dei tedeschi. L’importanza di questa città era che poteva essere utilizzato il suo porto per scaricare truppe e materiali molto vicino alla zona del fronte. L’11 settembre reparti della 1° armata americana attraversarono il confine tedesco nella zona di Aquisgrana mentre l’ala destra di Patton si congiungeva con i francesi che risalivano da sud, a Sombernon In pratica a questo punto tutta la Francia era in mano agli Alleati con eccezione della Alsazia e della Lorena dove i tedeschi si erano trincerati nei Vosgi con l’intenzione di resistere a oltranza. Il piano alleato che si proponeva di chiudere la guerra entro l’autunno 1944, si basava nel concentrare il massimo sforzo nel settore settentrionale dal mare alle Ardenne utilizzando soprattutto le unità del 21° Gruppo d’Armata e le divisioni americane del 12 Gruppo d’Armata, concentrato a Ward. Il piano così concepito era diretto ad impadronirsi della Ruhr e a determinare quindi il crollo del potenziale militare tedesco. Il rimaneggiamento del comando terrestre delle operazioni con l’assunzione a tale posto di Eisenhower veniva a porre Montgomery allo stesso livello di Bradley e questo non piacque alla stampa britannica in quanto appariva come un declassamento di Monty nonostante i successi da lui conseguiti in Normandia; per attenuare il contraccolpo Churchill promosse Montgomery al rango di Maresciallo.



Patton intanto scalpita egli era senza dubbio il generale americano che aveva le idee più precise di come manovrare con le forze corazzate ed era deciso a penetrare nella Germania ma per fare questo voleva un milione e mezzo di litri di benzina che in quel momento nei depositi non c’erano. Durante il mese di agosto Patton aveva perso 317 carri ma non aveva problemi a rimpiazzarli; la cosa che lo metteva in agitazione era la mancanza di carburante che affliggeva le sue divisioni. Ottenuta l’autorizzazione a procedere verso la linea Sigfrido con i mezzi che aveva, Patton non andò tanto per il sottile; il 3 settembre una colonna del suo 12° Corpo d’Armata scorrendo ai margini di un aeroporto riuscì ad impadronirsi di oltre 100.000 galloni di benzina avio. Con questo spirito irruente Patton si gettò nella corsa e il 4 settembre ebbe di nuovo alle sue dipendenze la 2° divisione corazzata francese e la 79° di fanteria; l’obiettivo principale era quello di assicurare punti di passaggio sulla Mosella. A Pont-à-Mousson la 5° divisione del 12° corpo si imbatte in una resistenza inaspettata; attaccata all’improvviso da un battaglione carri tedesco venne ricacciata indietro con notevoli perdite. Per ristabilire la situazione venne inviato in quella zona un "Combat Command" della 4° divisione corazzata americana che riuscì a fermare la puntata tedesca; tuttavia un reggimento di fanteria americana dovette sgomberare un’altura a nord-ovest di Metz sotto la spinta di un contrattacco germanico. Nonostante questo imprevisto, gli americani riuscirono ad attraversare la Mosella a sud di Metz e avanzando costituirono un’ampia testa di ponte al di là del fiume. In questa situazione le forze corazzate di Patton avevano perso 385 carri e 99 semoventi e anche così si trovavano sempre in condizioni assai migliori degli sparuti gruppi di carri che i tedeschi potevano gettare in battaglia in quei giorni.
Patton in quel momento si trovava nelle condizioni psicologiche e materiali per avanzare a ritmo sostenuto quando tutto il meccanismo predisposto subì una battuta d’arresto a causa di un problema sul fronte nord. Sebbene fosse un ottimo comandante tattico di unità corazzate, Patton dimostrava di non possedere una sufficiente sensibilità strategica globale e si era messo in testa quasi di voler condurre una guerra privata con la "sua" 3° armata. Nel momento in cui stava riuscendo ad ottenere buoni risultati sul fronte contro i tedeschi, Patton dovette interrompere la "Sua" avanzata e attendere tempi migliori; tra il 17 e il 24 settembre le forze corazzate a lui dipendenti avevano perduto 97 carri armati soprattutto nella zona di Luneville, ma il trasferimento della 6° divisione corazzata in altro settore e con le altre unità bisognose di essere riorganizzate e riequipaggiare, una pausa appariva necessaria per poi poter avere una ripresa più decisa.



Il 10 settembre 1944 Eisenhower e Montgomery si incontravano a Bruxelles; scopo della riunione era la discussione di un piano elaborato da Montgomery per quella che avrebbe dovuto essere una sensazionale avanzata verso nord, partendo dalle posizioni sulla Scheda con la realizzazione di una testa di ponte sul basso Reno che permettesse il successivo dilagare delle armate alleate fino al cuore della Germania. Questa testa di ponte sarebbe stata facilitata mediante un massiccio lancio di paracadutisti. Se si univa la 1° armata Alleata aviotrasportata con il 21° Gruppo di Armate e si davano a loro tutti i rifornimenti necessari, non solo si sarebbe raggiunto l’obiettivo principale della testa di ponte, ma si sarebbero liberate vaste zone dell’Olanda e presumibilmente sarebbe stata tagliata fuori e distrutta anche la 15° Armata Germanica. L’operazione fu denominata in codice "Market Garden" e doveva essere in due fasi la prima Market sarebbe stata effettuata dalle truppe aviotrasportate con lanci mirati in zone strategiche, mentre Garden aveva come esecutori la Divisione corazzata delle Guardie e due divisioni di fanteria appoggiate da una brigata corazzata del 30° Corpo d’Armata britannico e doveva seguire il percorso aperto dai paracadutisti. L’obiettivo finale era quello di stabilire una testa di ponte sul basso Reno ad Arnhem in Olanda. L’operazione aveva il vantaggio di aggirare completamente la linea Sigfrido. Alle prime luci del mattino di domenica 17 settembre 1400 bombardieri alleati attaccarono le zone prescelte per lo sbarco dei paracadutisti in Olanda per mettere a tacere le postazioni contraeree e distruggere i concentramenti di truppe tedesche. Secondo il servizio informazioni alleato nella zona di Arnhem e dintorni la presenza di forze tedesche organizzate non era rilevante e metteva l’accento sulla situazione piuttosto disastrosa dell’avversario. In sostanza nel settore di Arnhem non dovevano esserci forze superiori a una brigata con un quantitativo minimo di carri e pezzi di artiglieria. Ma per una di quelle fatalità che a volte cambiano il corso della storia, proprio nella zona dove gli inglesi avevano deciso di intraprendere quell’operazione si trovava in ricostituzione il 2° SS Panzerkorps ed inoltre la sede del comando del fronte occidentale con il comandante feldmaresciallo Walter Model.



Il 2° SS Panzerkorps era comandato dal generale Bittrich e comprendeva la 9° SS Panzerdivision "Hohenstaufen" guidata dal T. Colonnello Harzer e dalla 10 SS Panzerdivision "Frundsberg" agli ordini del generale Harmel; entrambe queste divisioni avevano combattuto in Normandia e si trovavano in Olanda per un periodo di riposo e per ricevere nuovi mezzi e materiali. Le due unità erano in quel momento con effettivi molto al di sotto dell’organico previsto e disponevano complessivamente di circa trenta carri; sempre in Olanda si trovavano elementi della 15° armata tedesca e, sul canale Mosa-Schelda c’era la 1° armata paracadutisti agli ordini di Kurt Student. Il bombardamento preliminare effettuato dagli Alleati benché improvviso e di notevole intensità non fece intuire ai tedeschi quello che stava per avvenire. Dall’Inghilterra iniziarono i decolli sia di velivoli da lancio che di velivoli con a traino alianti; le truppe che si apprestavano ad aviosbarcare erano costituite dalla 1° divisione aviotrasportata britannica e dalla 82° e 101° americane per un totale di circa 20.000 uomini con 511 veicoli, 320 pezzi di artiglieria e 590 tonnellate di materiali. L’obiettivo della 101° era la zona di Eindhoven con i ponti sul canale Guglielmo e Guglielmina e doveva procedere poi verso Nimega per ricongiungersi con i paracadutisti della 82°. Gli Inglesi invece andarono direttamente su Arnhem. Sull’Olanda ci fu una reazione contraerea piuttosto sostenuta con alcuni velivoli colpiti, ma nel complesso le perdite non furono elevate. Sulle zone di atterraggio la copertura e l’appoggio aereo era garantito da circa 2000 cacciabombardieri del tipo Spitfire, Typhoon, Tempest, Mustang e Thunderbolt, i quali poco prima dei lanci fecero un attacco sulla zona per mettere a tacere alcuni centri di fuoco. A mezzogiorno le cittadine situate nella zona oggetto degli sbarchi erano ridotte a cumuli di rovine tanto da segnare la via agli aerei da trasporto e agli alianti tramite le dense colonne di fumo che si levavano dalle case incendiate. Quando la 101° raggiunse la zona di lancio, le avanguardie del 30° Corpo d’armata si misero in moto dando il via a quella che avrebbe dovuto essere la grande offensiva alleata per rompere le difese esterne della Germania. Il primo a reagire tra i comandanti tedeschi fu Bittrich che alle 13,30 di quel giorno ricevette una comunicazione dalla Luftwaffe che gli segnalava la discesa di paracadutisti nella zona di Arnhem; poco dopo un rapporto più preciso indicava Arnhem e Nimega come obiettivo dell’attacco alleato. Bittrich cercò di mettersi in contatto con Model ma il feldmaresciallo aveva già abbandonato il suo posto di comando temendo di essere catturato e si stava dirigendo al comando del 2° SS Panzerkorps.



Bittrich non riuscì a mettersi in contatto con nessun comandante di unità eccezion fatta per Harzer che comandava la 9° SS Panzerdivision e gli ordinò di procedere ad una ricognizione in direzione di Arnhem e Nimega. Harzer non era preparato per una azione del genere in quanto molti mezzi erano in revisione od in procinto di essere inviati nei centri di revisione. In circa tre ore mise insieme quel che poteva della divisione Hohenstaufen ed entrò in azione; l’ordine di Bittrich era perentorio agire con la massima rapidità e tenere il ponte di Arnhem di importanza decisiva. Bittrich dette ordine anche alla 10° SS Panzerdivision di andare a Nimega con l’obiettivo di occupare e difendere ad ogni costo tutti i ponti della città; il comandante della 10° Harmel si mise in moto. I primi tedeschi che gli inglesi si trovarono di fronte furono gli uomini di Seep Kraft, un reparto scuola di granatieri corazzati che era di stanza proprio sul limite del terreno dove i "Red Devils" avevano preso terra. Dopo il primo momento di stupore, Kraft dedusse che l’unico obiettivo di qualche importanza che si potesse trovare nella zona era il ponte di Arnhem. Pur disponendo di 500 uomini creò una linea difensiva che aveva i suoi punti di forza in alcuni lanciarazzi multipli ricevuti in prova qualche giorno prima. Il volume di fuoco di queste armi era veramente notevole e l’impatto sulle truppe inglesi fu enorme. Una brigata inglese fu bloccata mentre tentava di convergere verso il ponte ed ogni tentativo di proseguire fu impossibile; nel frattempo un gruppo di autoblindo e semoventi della 9° SS Pz D giunse nella zona a dare man forte agli uomini di Kraft. Al mattino successivo nonostante il valore dei paracadutisti inglesi, questi si trovavano ancora lontani dal ponte. Tuttavia un battaglione, il 2°, del colonnello Frost era riuscito ad attestarsi all’estremità settentrionale del ponte asserragliandosi in un gruppo di case; l’obiettivo era a portata di mano e Frost ordinò l’attacco per passare dall’altra parte del fiume. In quel momento intervenne una compagnia di Tigre II inviata da Harzer per pulire completamente la zona; Frost tentò due volte di attraversare il fiume ma dovette desistere e ripiegò a stento. La situazione degli inglesi ad Arnhem e dintorni cominciava a farsi precaria, l’anello delle forze del 2° Panzerkorps si andava stringendo di ora in ora e l’unica possibilità di salvezza era l’arrivo delle avanguardie del 30° Corpo d’Armata. Anche nel settore meridionale la situazione non volgeva a favore degli Alleati; elementi della 10° SS Pz D che Harmel aveva fatto affluire con infiltrazioni attraverso le linee dei paracadutisti americani avevano creato una situazione che impediva agli uomini di Harrocks (30° Corpo d’Armata) di andare avanti verso Nimega. Dopo 5 giorni di combattimenti la divisione Britannica era ridotta agli estremi; era arrivato il momento di salvare ciò che restava ancora salvabile. Fu emanato l’ordine di raggrupparsi e di tentare di rompere il cerchio per rientrare nelle linee; il lancio della brigata polacca di Sosabowski che avrebbe dovuto portare aiuto agli inglesi non sortì l’effetto sperato tanto che furono costretti a causa della resistenza incontrata a desistere e ritirarsi. Una settimana dopo il 17 settembre iniziò l’evacuazione della testa di ponte di Arnhem che venne rioccupata dai tedeschi con 15 carri armati.



Riassumendo i risultati della settimana di scontri possiamo vedere il prezzo elevatissimo pagato dagli Alleati in termini di perdite umane: Gli inglesi persero 7842 paracadutisti, gli americani 3542, le forze di terra ebbero 5515 morti mentre i tedeschi persero 3300 uomini di cui sicuramente 1300 morti. Ma il peso principale della battaglia cadde sui civili olandesi perché sembra che nel solo settore di Arnhem ci siano stati dai 20.000 ai 30.000 morti tanto che Bernardo d’Olanda disse una frase lapidaria: "Il mio paese non potrà mai più pagarsi il lusso di un altro successo di Montgomery". Anche se Market – Garden fu un fallimento in tutti i sensi (mi riferisco al servizio alleato di informazioni, al cattivo lancio troppo lontano dagli obiettivi, ecc) una cosa posso dire, spezzare cioè una lancia, l’unica, a favore degli Alleati e cioè che l’operazione permise a carissimo prezzo di conquistare i ponti sulla Mosa e sul Waal che furono un ottimo trampolino di lancio per la successiva conquista della Germania.

L’ULTIMA OFFENSIVA DI HITLER
Nell’autunno del 1944 la convinzione generale era che la guerra contro la Germania fosse vicina alla fine. Proprio mentre gli Alleati stavano raccogliendo le proprie forze per scatenare l’assalto finale alla Germania, Hitler elaborava insieme al suo stato maggiore un piano per sconvolgere le linee alleate. Si trattava in sintesi di concentrare una potente massa d’urto nelle Ardenne e di qui sferrare una offensiva per incunearsi nel dispositivo nemico e puntare verso il mare ad Anversa; a nord delle Ardenne c’erano 16 divisioni alleate, a sud 10 e nella zona centrale ricca di vegetazione ed impervia si trovavano solo 5 divisioni. Proprio contro queste Hitler intendeva vibrare un colpo durissimo ripetendo in pratica quella che era stata la manovra del 1940 che aveva portato alla sconfitta della Francia. Non sperava certo di cacciare gli Alleati dall’Europa ma almeno di vibrare un colpo tale da metterli KO per qualche mese, il tempo di rivolgere le truppe contro i sovietici e fare la stessa manovra. In questo modo Hitler poteva sperare di patteggiare il futuro del Terzo Reich; nel frattempo l’industria avrebbe prodotto in grande quantità le bombe volanti, i missili teleguidati e gli aerei a reazione e i carri armati giganti così da poter capovolgere le sorti del conflitto.



Il grosso dello schieramento tedesco consisteva in due armate corazzate: la 6° e la 5°. La 6° comandata da Sepp Dietrich comprendeva 9 divisioni delle quali 4 corazzate (la 1° Leibstandarte, la 10° Frundsberg, la 2° Das Reich e la 9° Hohenstaufen tutte appartenenti alle Waffen SS per un totale di circa 450 carri e semoventi). La 5° Armata agli ordini di Hasso von Manteuffel, aveva 3 divisioni di fanteria, elementi della 11° Pz D, le due divisioni corazzate 2° e 116° e una terza divisione corazzata formata da organici della scuola carristi (Panzerlehr).
In tutto si trattava di sette divisioni corazzate ognuna delle quali allineava a malapena un centinaio di carri. Pertanto l’intero schieramento tedesco poteva contare su un migliaio di carri armati e cannoni d’assalto; tra questi un centinaio di modernissimi Panther e Tigre II (tigre reale). Il terreno su cui doveva svolgersi la manovra, assai boscoso e ondulato ostacolava il movimento dei carri fuoristrada e le strade stesse non erano in buono stato; i carri pesanti trovavano difficoltà a muoversi in un ambiente così, in modo particolare il Tigre II. La 7° e la 15° armata con altre 6 divisioni di fanteria e una di paracadutisti completavano lo schieramento tedesco; sarebbero poi intervenute nella lotta altre unità tra le quali la 9° Divisione Panzer, la 3° e la 15° Panzergrenadiere e due brigate corazzate denominate Fuhrerskorst e Fuhrergrenadier. Il compito di raggiungere la Mosa tagliando in due gli Anglo-Americani fu affidato a Dietrich il quale mise alla testa della 6° Armata un gruppo di combattimento con un centinaio di carri al comando del colonnello Peiper.



L’ammassamento di queste unità a ridosso della prima linea fu attuata con molta prudenza per non allarmare le truppe americane. Il movimento dei rifornimenti, dei cannoni, dei materiali fu attuato di notte e le strade accanto alle linee furono ricoperte di paglia per attutire il rumore. All’alba la paglia veniva tolta in modo che eventuali aerei da ricognizione potessero osservare che tutto era normale. Le due armate corazzate furono tenute un poco distanti dalla prima linea con le varie unità divise tra loro per evitare che gli abitanti notassero che era in atto qualcosa di insolito. La sera del 15 dicembre 1944 i tedeschi erano riusciti a portare a ridosso dello schieramento americano tutte le unità previste senza che gli Alleati se ne accorgessero. L’inizio dell’offensiva era fissata per le 5,30 del mattino del 16 dopo un bombardamento di preparazione da parte delle artiglierie (i tedeschi avevano circa 2000 cannoni), le fanterie sarebbero penetrate tra gli avamposti americani. Solo nel pomeriggio una volta distrutte le postazioni anticarro sarebbero avanzati i carri armati. Von Manteuffel propose appositi parchi di riflettori che, puntando i loro fasci sulla bassa coltre di nubi, avrebbero provocato per riflessione un chiarore chiamato luna artificiale permettendo ai carri di avanzare anche nelle ore buie. La sorpresa riuscì in pieno e per alcune ore gli americani furono incerti sul significato dell’operazione tedesca e solo nella serata del 16 si resero conto della portata dell’offensiva e del pericolo che stavano correndo. Nella zona delle Ardenne le fanterie americane furono scompaginate e i tedeschi penetrarono in profondità; ma nella zona assegnata a Dietrich la 99° divisione americana organizzò una forte resistenza. Questo limitò la libertà di movimento della 6° armata corazzata che aveva iniziato l’assalto alle 7,00; così contrariamente a quanto previsto solo il 17 i 500 carri della 6° armata cominciarono ad avanzare (c’erano 90 Tiger).La punta del cuneo che affondava nello schieramento alleato era costituita da un centinaio di carri del colonnello Peiper che già il 18 dicembre era penetrato per 30 Km. all’interno dello schieramento alleato; ai tedeschi purtroppo cominciava a scarseggiare il carburante, inoltre gli uomini erano stanchi perché per quattro giorni non avevano avuto un momento di sosta. A Stavelot a meno di 500 metri da dove si fermarono a riposare i carristi delle Waffen SS c’era un deposito con ben 11 milioni di litri di benzina che rappresentava il maggior deposito americano delle Ardenne. I tedeschi non se ne accorsero e quando al mattino ripresero la marcia si trovarono di fronte ad un mare di fiamme: gli americani avevano incendiato il deposito. Poco dopo, sia per l’accanita resistenza incontrata, sia per la mancanza di carburante l’avanzata della 6° armata corazzata cominciò a rallentare. Il 20 dicembre Hitler molto arrabbiato dal fallimento di Dietrich, che secondo il programma in tre giorni doveva raggiungere Liegi e la Mosa(ma distava ancora alcuni chilometri), dette ordine che lo sforzo maggiore passasse nell’area di responsabilità della 5° armata di von Manteuffel.
Manteuffel era un vecchio militare di carriera molto stimato da Hitler;una volta ricevuto il piano aveva provveduto a modificarlo in questi termini e cioè invece di far precedere l’attacco della fanteria dal cannoneggiamento aveva cominciato a fare infiltrare reparti speciali tra le linee americane. Fin dalla notte tra il 15-16 dicembre.
Al momento dell’inizio ufficiale dell’offensiva i suoi uomini occupavano già posizioni chiave. Due giorni dopo l’inizio dell’offensiva i tedeschi erano a ridosso dell’abitato di Bastogne e si preparavano ad occuparlo. Bastogne in quel momento era difesa solo da poche truppe tra cui molti reparti di genieri, ma durante la giornata del 19 arrivò nella cittadina la 101° divisione aerotrasportata americana e un gruppo corazzato che si sistemò a difesa. Von Manteuffel attaccò gli americani con la 26° Divisione Volksgrenadiere e con la 2° corazzata e la Panzerlehr anche essa corazzata ma non riuscì a penetrare nell’abitato; ordinò allora alle sue unità di superare Bastogne che venne accerchiata. Gli americani si batterono duramente specialmente la 101° Divisione era temprata ai combattimenti; capitata a Bastogne quasi per caso riuscì a difendere egregiamente la cittadina. In campo alleato la confusione era enorme perché nessuno aveva chiara la situazione e quindi le misure da prendere; inoltre nel settore della 6° armata di Dietrich le cose furono complicate dalla rivelazione casuale che reparti di tedeschi con divisa americana e mezzi americani stavano operando dietro le linee. La psicosi contagiò immediatamente gli Alleati e le contromisure adottate portarono a rallentamenti incredibili e a enormi ingorghi di traffico.
La scarsità di carburante e di munizioni, l’intasamento delle strette strade delle Ardenne, i continui guasti meccanici ai carri pesanti, furono solo alcuni degli elementi che determinarono il fallimento dell’offensiva tedesca. Le cause più importanti furono altre e cioè l’irrigidimento della resistenza alleata e nel miglioramento delle condizioni atmosferiche che determinarono a iniziare dal 23 dicembre, il ritorno dell’aviazione alleata nei cieli delle Ardenne fino allora coperti da foschie e nebbie. Migliaia di bombardieri e di cacciabombardieri resero impossibile ogni movimento tedesco in particolare i rifornimenti non arrivarono più alle truppe di punta che prive di carburante furono costrette ad abbandonare i carri e ritirarsi a piedi esempio per tutti la colonna corazzata di Peiper che rientrò nelle proprie linee e piedi. Alla viglia di Natale anche von Manteuffel cominciò a trovarsi dinanzi a serie difficoltà a causa del ritardo nell’arrivo dei rifornimenti; un attacco di Carri a Bastogne fu respinto, i carri che erano riusciti a penetrare la cerchia difensiva furono distrutti dai cannoni anticarro americani. Intanto una forte aliquota di unità stava dirigendosi verso Bastogne per toglierla dall’isolamento e così il 26 dicembre le truppe si ricongiunsero con quelle accerchiate che nel frattempo erano riuscite a spezzare un sanguinoso attacco proprio il giorno di Natale. Hitler decise di inviare a Manteuffel due divisioni prelevate dalla riserva del comando supremo; la 9° corazzata e la 15° Panzergrenadiere; ma anche queste unità dovettero arrestarsi per mancanza di carburante. Finiva così l’ultima grande offensiva di Hitler e le critiche sono piovute su entrambe le parti; ai tedeschi è stato rimproverato di aver pianificato una offensiva ben concepita sotto il profilo strategico senza avere predisposto sufficienti riserve. Agli americani si rimprovera la leggerezza con la quale fu lasciato sguarnito il fronte delle Ardenne. La 1° armata americana era uscita a pezzi dalle Ardenne perché oltre alle perdite di uomini e materiali, aveva lasciato sul campo 263 carri e pure la 3° armata ne aveva perduti 300. I tedeschi avevano perduto oltre la metà dei 1000 mezzi di cui disponevano. Il primo di gennaio 1945 scattava la controffensiva tedesca in Alsazia denominata "Vento del Nord" voluta da Hitler per contribuire all’attacco nelle Ardenne; dopo una serie di alterni combattimenti l’offensiva degenerò e fu arrestata principalmente dalla 12 Divisione corazzata americana e dalla 2° Divisione corazzata francese. I tedeschi avevano messo in campo varie divisioni corazzate; la 10° Waffen SS PzD, la 21° Pz D, la 25° Panzergrenadiere. Il 21 gennaio i tedeschi furono definitivamente respinti.



Con queste azioni si chiudeva la fase offensiva tedesca; un comunicato alleato del 22 gennaio stimava le perdite tedesche in circa 37.500 morti, 50.000 prigionieri e 1400 carri e semoventi distrutti. Dal canto suo i tedeschi denunciavano la cattura di oltre 26.000 americani e la distruzione di 1200 carri e di 400 cannoni.

GLI ALLEATI PUNTANO AL IL RENO
Il nuovo obiettivo che si poneva agli Alleati era raggiungere il Reno; questa operazione era articolata in tre fasi 1) ripulire dai tedeschi la riva sinistra del Reno, 2) attraversare il fiume, 3) allargare la testa di ponte. Il Reno è un grande fiume con un letto che misura dagli 80 ai 300 metri, è profondo e la corrente molto forte. Il comando alleato prevedeva di impostare una operazione anfibia per l’attraversamento del fiume. Intanto si dava inizio all’operazione di avvicinamento al fiume con otto armate di cui quattro a nord al comando di Montgomery due al centro al comando di Bradley e due a sud al comando di Devers. I tedeschi disponevano di sole 8 divisioni corazzate perché nel frattempo quattro Pz Division delle SS erano state spostate sul fronte orientale. Hitler proibì ai suoi generali di passare il Reno e ordinò di resistere sulla riva sinistra del fiume; nel frattempo tutti i ponti dovevano essere distrutti. Gli americani speravano di conquistare qualche ponte sul Reno, ma tutti i ponti venivano fatti saltare non appena si presentavano di fronte gli alleati. La mattina del 7 marzo un reparto americano della 9 divisione corazzata scopriva un ponte ferroviario intatto a Remagen e un piccolo gruppo di combattimento riuscì ad attraversarlo costituendo una solida testa di ponte sulla riva destra. Hitler su tutte le furie ordinò la concentrazione di tutte le forze corazzate in quella zona dove si scoprì che esistevano solo 5 Jagdtiger.

AD EST SI DECIDONO LE SORTI DELLA GUERRA
Abbiamo parlato in questo capitolo degli avvenimenti sul fronte occidentale ma dobbiamo fare un piccolo passo indietro e tornare all’altro fronte il più terribile quello ad est dove gli scontri assumono proporzioni di tragedia.
Nei primi giorni di giugno del 1944 il fronte est si era stabilizzato dal golfo di Finlandia fino al Mar Nero ma i russi preparano una nuova offensiva per l’estate che si avvicina. Il fango del disgelo primaverile ostacolava in ugual modo sia i tedeschi che i russi e pertanto in questo periodo regnava la calma su tutto il fronte salvo brevi rapide scaramucce di pattuglie o piccoli scontri locali.. Per dare il via all’offensiva prevista per l’estate i russi allineano 3 gruppi d’armata del Baltico, 3 gruppi d’armata della Bielorussia e i 4 dell’Ucraina più il formidabile gruppo d’armate di Leningrado. Molto più a nord c’è anche il distaccamento Artico con 10 divisioni; complessivamente contando anche le unità di rincalzo e riserve strategiche l’esercito sovietico dispone di 430 divisioni di fanteria, 40 divisioni di cavalleria, 300 brigate corazzate e meccanizzate e inoltre 15 reggimenti carri indipendenti. Gli organici e i mezzi sono più o meno assimilabili a quelli dei paesi occidentali; pertanto con le riserve i russi dispongono di circa 130.000 carri compresi i nuovissimi JS – 2 (S sta per Stalin). Di fronte a questo schieramento a dir poco impressionante i tedeschi dispongono di 4 gruppi di armate con 150 divisioni di fanteria, 22 corazzate e 8 di panzergrenadiere; gli organici però sono molto ridotti e il numero complessivo di carri non arriva a 3.500 unità di cui circa 2.800 concentrati nei due gruppi di armate Ucraina Nord e Ucraina sud, le zone delle grandi pianure.



Il primo attacco i russi lo scatenano tra il 9 e il 10 giugno contro la Finlandia con 30 divisioni di fanteria 2 di artiglieria e 1000 carri armati che prendono di infilata la linea Mannerheim e dopo una serie di duri combattimenti conquistano la città di Viborg (20 giugno) I finlandesi mal ridotti dagli scontri iniziano le trattative per separata che però vengono rinviate per l’intervento diplomatico tedesco. Il 23 giugno prende il via l’offensiva più importante che prende di sorpresa i tedeschi; Stalin che l’ha concepita, invece di attaccare come si aspettavano i tedeschi in Ucraina, ha ordinato di attaccare nella parte più settentrionale dello schieramento proprio dove le armate tedesche sono più all’interno del territorio russo. Il calcolo di Stalin si rivela esatto; i tedeschi non hanno rinforzato questa zona del fronte poiché, essendo riusciti sempre a resistere egregiamente agli attacchi nemici erano convinti di poter continuare a fare altrettanto. L’offensiva viene aperta con il tiro di 130 batterie e dal bombardamento con centinaia di aeroplani; poi scattano in avanti 20 divisioni di fanteria sostenute da carri della 5° armata corazzata che puntano su Vitebsk. L’intero fronte inizia a muoversi e al centro il generale Rokossovskij attacca con il primo gruppo armate della Bielorussia. I tedeschi sono completamente travolti dall’attacco così preciso e violento delle fanterie russe appoggiate da centinaia di carri che provvedono ad eliminare ogni resistenza e ad impedire ai tedeschi fuggiaschi di riorganizzarsi di nuovo. Le colonne corazzate puntano su Minsk capitale della Bielorussia; sono circa 3000 i carri che travolgono ogni difesa e la città il 3 luglio cade. Il 13 luglio dopo un bombardamento eseguito con 20.000 cannoni i sovietici attaccano anche sul fronte settentrionale dell’Ucraina; il 16 luglio le difese tedesche sono distrutte e ben 15 brigate corazzate sovietiche si lanciano a tergo delle linee tedesche per sfruttare il successo ottenuto.



L’attacco è contrastato solo da due divisioni corazzate delle 5 che in tutto il settore allineano i tedeschi. L’attacco russo si estende anche a sud dove 15 corpi corazzati sovietici con circa 1800 carri, inseguono senza tregua i tedeschi. L’8° divisione corazzata tedesca viene annientata dall’aviazione sovietica mentre si trova in marcia di avvicinamento al fronte e così i tedeschi sono costretti a ripiegare. Le avanguardie sovietiche raggiungono e oltrepassano il fiume Vistola e solo ai confini della Prussia orientale i tedeschi riescono a frenare l’avanzata di Cerniakovski il quale morirà pochi giorni più tardi in combattimento. Poiché Varsavia è minacciata dalla 2° armata sovietica che ha già oltrepassato in vari punti la Vistola, i tedeschi gettano nella lotta 5 divisioni corazzate e meccanizzate: la 19° Pz Division, la Hermann Goring, la 3° SS PzD Totenkopf e la 5° SS PzD Viking oltre alla Panzergrenadier Division Grossdeutschland. Il 25 luglio dopo un mese di combattimenti e una avanzata che ha raggiunto i 250 km. Mosca emette un bollettino con un primo bilancio dell’offensiva; i tedeschi hanno sofferto 380.000 morti, 150.000 prigionieri e hanno perduto 8700 cannoni, 2700 carri armati e 57.000 veicoli.
I Russi si sono fermati a pochi km. dalla capitale polacca per riorganizzare le truppe e ricevere rifornimenti, ma a Varsavia la vicinanza dell’Armata Rossa è il segnale della rivolta della città per cacciare i tedeschi. Hitler ordina ai generali delle Waffen SS di reprimere la rivolta che dura due mesi dal 1° agosto al 1° ottobre 1944 e termina con lo sterminio dei patrioti che aspettano sempre che i russi giungano in loro soccorso. Ma questi non si muovono sicuramente perché non avevano la forza per farlo avendo speso troppo nell’ultima offensiva (questa la versione ufficiale) e forse anche perché non essendo la rivolta di Varsavia di stampo comunista era loro intenzione non intervenire; meglio che i non comunisti fossero sterminati dai tedeschi così si sarebbe evitato di doverlo fare dopo a Varsavia occupata dai russi. Si consuma il massacro contro gli insorti senza che i russi muovano un solo dito ed impedendo anche agli Alleati di inviare rifornimenti perché per farlo, cioè per paracadutarli sulla città, gli aerei alleati avrebbero dovuto fare scalo in aeroporti russi per rifornirsi di carburante e fare il viaggio di ritorno ma i russi negarono gli aeroporti per questa operazione; i tedeschi contro gli insorti usarono di tutto, carri armati, cannoni d’assalto e i Goliath piccoli carri telecomandati con a bordo una potente mina.



Nel frattempo erano successe molte cose nell’Europa balcanica; Il 24 agosto la Romania aveva rotto i rapporti con la Germania visti gli esiti della guerra ed aveva allacciato rapporti con l’URSS. Tutto questo era il risultato dell’offensiva sferrata il 20 agosto dal generale Malinovski che con 95 divisioni di fanteria e 7 brigate corazzate aveva sgominato due armate tedesche e due romene. Il 2 settembre anche la Finlandia rompeva le relazioni con la Germania e ne attaccava le forze armate; il 7 settembre anche la Bulgaria che si era tenuta fuori dal conflitto, si schierava con i sovietici contro i tedeschi. Hitler a questo punto ordinava la ritirata di tutte le forze tedesche dai Balcani per evitare che restassero tagliate fuori dalla rapida avanzata sovietica. Il 6 ottobre Malinovski aveva affrontato con decisione il Gruppo d’Armate sud tedesco che gli sbarrava la strada verso la pianura ungherese. Iniziava la lunga e dura battaglia per l’occupazione dell’Ungheria.
La Puszta è la grande pianura ungherese piatta e ideale per il movimento di grandi unità corazzate; qui si affrontarono le armate tedesche e sovietiche dando origine ad alcuni dei più accaniti combattimenti di carri dell’intero conflitto. Il veloce spostamento di 800 carri delle 7 brigate corazzate di Malinovski dette subito i frutti sperati; contrattaccando con furia ai fianchi i tedeschi riuscirono ad arrestare i russi nell’ultima settimana di ottobre.



Purtroppo le sei divisioni corazzate impegnate persero quasi tutti i carri armati e cannoni d’assalto di cui disponevano e alla fine di ottobre la media dei carri a disposizione per ciascuna divisione non superava le 20-25 unità. Malinovski aveva perso i carri ma non la sua aggressività e il 29 ottobre attaccava nuovamente con la 6° armata corazzata della Guardia e riusciva ad annientare la 3° armata ungherese; tre brigate corazzate sovietiche puntarono su Budapest che Hitler considerava ancora il punto chiave da difendere a qualsiasi prezzo. Contro le brigate russe entrarono in azione il 3° e il 57° Corpo d’Armata corazzato tedesco; questo ultimo con 4 Panzerdivisionen e la divisione Panzergrenadiere Feldherrhalle prese ai fianchi i sovietici. In questa azione erano però state messe in campo tutte le risorse disponibili. Hitler destinava subito al fronte ungherese la 3°, la 6° e l’8° Divisione corazzata e qualche battaglione di Panther. Il 29 novembre con l’arrivo delle armate reduci dall’occupazione della Jugoslavia i sovietici riprendono la lotta riuscendo ad accerchiare Budapest. Per sbloccare la situazione e togliere Budapest dall’assedio, Hitler che conduceva in prima persona le operazioni in Ungheria fu costretto a prelevare dalla Prussia Orientale le divisioni delle Waffen SS Totenkopf e Viking; ma il blocco di molte unità tedesche in Ungheria impedirà poi nel gennaio 1945 di difendere la Polonia.
Nel prossimo ed ultimo capitolo parleremo del 1945 e della fine della Germania.

MARIO RAGIONIERI

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Ricordo ai lettori le mie pubblicazioni di storia del periodo 1918/1946 che si trovano in vendita nelle librerie:

-- 8 settembre 1943 fine di un sogno di gloria. Editori dell'Acero, 2001

-- Dalla democrazia al regime 1919-1929 i primi anni del fascismo. Editori dell'Acero, 2003

-- Hitler e Stalin il tempo dell'amicizia e il tempo della guerra... Editori dell'Acero, 2004

-- Salò e l'Italia nella guerra civile. Ed.Ibiskos, 2005