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Napoleone - Il genio militare, la strategia, le battaglie - 2^p.
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Written by Mario Ragionieri   

IL GENERALE DI BRIGATA D’ARTIGLIERIA NAPOLEONE BUONAPARTE

Tra il dicembre 1793 ed il marzo del 1796 Napoleone si mise in luce come pianificatore strategico e come opportunista politico; è questo il periodo preparatorio per quelli che saranno i suoi successi militari nel biennio 1796-97 e anche del consolidamento della sua personale posizione. Egli infatti come generale di brigata di artiglieria fu inviato a Nizza per assumere l’incarico di ispettore dell’artiglieria dell’Armata d’Italia: una posizione che certamente in condizioni normali non avrebbe offerto grandi opportunità di direzione di operazioni militari, ma le particolari circostanze in cui si trovava l’Armata permise a Napoleone di arrivare dove non avrebbe pensato di giungere. Il suo comandante , generale Dumerbion, non era un uomo capace di affrontare con rapidità le decisioni da prendere anche se era considerato un buon soldato con un passato importante; era però vecchio e negli anni aveva assistito all’estromissione dal comando di troppi suoi colleghi ( molti condannati anche a morte) per cui era poco predisposto ad agire con energia quando questa invece occorreva. Così, onde evitare problemi, egli aveva l’abitudine, prima di muoversi, di chiedere ai deputès – en – mission la loro opinione quando doveva svolgere delle operazioni e questo lo garantiva in qualche modo da eventuali reprimende su come si era mosso. Fu in quel periodo che Saliceti e Augustin Robespierre furono inviati dal governo centrale quali suoi rappresentanti presso l’Armata d’Italia; lì trovarono Buonaparte in servizio e naturalmente, visti i precedenti di Tolone, si trovarono nelle condizioni migliori per ascoltare e accogliere i suggerimenti del loro amico e protetto. Accadde così che il generale Dumerbion ricevesse gli ordini dai rappresentanti del governo che a loro volta erano in larga parte manovrati da Napoleone; tutte queste vicende non facevano altro che andare a favore della carriera e del prestigio del giovane generale di brigata.


Battaglia di Dego



Agli inizi del 1794 la situazione dell’Armata d’Italia era molto critica poiché dopo due anni di guerra contro il Regno di Sardegna i soldati francesi erano fermi e, senza speranza di poter riprendere l’iniziativa, tra le Alpi Marittime e il mar Ligure perché davanti c’erano le postazioni piemontesi a nord, quasi inespugnabili, e le navi della marina britannica a sud. I problemi che si presentavano erano due e cioè spezzare le linee piemontesi e rompere il blocco navale britannico. La natura del terreno non era certo ideale per intraprendere grandi manovre e anche Buonaparte si trovava in difficoltà di fronte all’idea di attaccare le formidabili posizioni piemontesi nella zona di Saorgio; Napoleone per studiare un piano attuabile si rese conto che la miglior mossa da intraprendere era quella di percorrere rapidamente la strada costiera per prendere Oneglia e utilizzare quel porto per riaprire i collegamenti marittimi con Genova coordinando questa manovra con un attacco nelle montagne sfruttando le vallate del fiume Roia e Nervia per puntare verso la città di Ormea e la linea del fiume Tanaro. Tutto questo doveva essere eseguito in concomitanza ad un finto attacco alla fortezza di Saorgio. Queste operazioni avrebbero consentito di ottenere tre risultati e cioè riaprire il traffico costiero, aggirare il fianco strategico dell’esercito piemontese costringendolo a lasciare le posizioni e a ritirarsi e infine, se tutto andava bene, l’Armata d’Italia si sarebbe trovata su posizioni che le avrebbero permesso di controllare due passi importanti per una successiva ulteriore avanzata nella pianura piemontese. Il piano venne approvato e Dumerbion accettò di cedere 20.000 dei suoi 43.000 uomini per realizzare la massa di manovra che, divisa in tre colonne più una di riserva, avrebbe dovuto iniziare le operazioni. Il 16 aprile il generale Massena con due brigate riuscì a superare monte Tanardo e arrivò ad Ormea senza incontrare difficoltà di rilievo ; venuto a conoscenza che i piemontesi erano sempre a Saorgio cercò, con una mossa rapida, di tagliare loro la via di fuga obbligandoli così ad arrendersi a Dumerbion che intanto si era spinto sulla strada di Nizza con le forze a sua disposizione. Anche nel settore costiero le cose stavano procedendo per il verso giusto Oneglia era caduta ed anche Alberga e Loano avevano subito la stessa sorte tanto che ai primi di maggio l’Armata d’Italia si era posizionata lungo lo spartiacque delle Alpi Marittime e controllava i passi dell’Argentera , del Col di Tenda e del San Bernardo. Napoleone era riuscito nuovamente a predisporre e far attuare un piano risolutivo per ribaltare la situazione in cui si trovava l’Armata d’Italia. L’inizio era buono e aveva evidenziato alcune caratteristiche che sarebbero rimaste anche nelle campagne a venire e cioè l’impiego di diversioni, la suddivisione dell’esercito in unità apparentemente non collegate tra loro ma in realtà disposte in modo tale da potersi soccorrere rapidamente l’un l’altra e l’impiego di una riserva centrale.


Battaglia di Loano, 1795



Buonaparte attraverso gli amici deputès presentò un secondo piano di operazioni che sfruttando il successo iniziale ottenuto prevedeva di aprirsi un varco attraverso l’esercito piemontese che disponeva di circa 45.000 uomini per raggiungere la piana di Mondovì dove l’Armata avrebbe potuto trovare rifornimenti. Il progetto era ambizioso e audace e aveva come obiettivo la fortezza di Cuneo dove le due armate francesi, pur seguendo ciascuna una direttrice di marcia diversa, si sarebbero infine congiunte. Il progetto inviato a Parigi per l’approvazione fu messo in atto a partire dal 5 giugno. La prima parte del piano fu portata brillantemente al successo ma da Parigi Carnot non consentì all’armata di procedere oltre come previsto inizialmente; le ragioni erano da ricercarsi nel fatto che non desiderava una offensiva portata a fondo in Italia in un momento in cui la Francia era impegnata in un attacco sul Reno . C’era inoltre la paura per lui fondata che il mezzogiorno della Francia si sarebbe di nuovo sollevato contro la Repubblica sapendo che l’Armata d’Italia era troppo sbilanciata in avanti, entro il territorio dell’Italia, per poter intervenire a reprimere. Ma Augustin Robespierre non esitò a partire per Parigi per illustrare il piano ; portava con se un promemoria sicuramente dettato da Napoleone dove erano illustrati in modo comprensibile i problemi strategici generali. Era l’Austria il nemico da mettere in crisi e non disperdere le forze su un fronte così secondario come quello spagnolo; egli sostenne che :
“Se le armate che sono sul fronte piemontese assumessero un atteggiamento offensivo, esse obbligherebbero casa d’Austria a proteggere i suoi possedimenti italiani…. I principi della guerra sono gli stessi di quelli di un assedio. Il fuoco deve essere concentrato in un solo punto e, non appena si è aperta una falla, l’equilibrio viene rotto ed il resto è nulla; la piazza è presa!” ….” E’ la Germania che deve essere schiacciata; fatto questo Spagna e Italia cadranno da sole. L’attacco deve essere concentrato non disperso.” Un attacco contro il Piemonte avrebbe certamente costretto l’Austria a togliere truppe dal Reno ed avrebbe creato le condizioni perché i francesi potessero aprire una breccia nel fronte principale ( il Reno). Qui si può vedere la genialità militare di Napoleone e le premesse per la campagna del 1796; aveva allora soltanto 24 anni.
Napoleone in attesa delle risposte da Parigi fu inviato in missione segreta a Genova per vedere la situazione in quel settore.


La cattura di Robespierre



Il 27 luglio 1794 il colpo di Stato del Termidoro provocò la fine di Robespierre che fu ghigliottinato mentre i suoi amici e seguaci perdevano i posti occupati e anche in molti casi letteralmente la testa. Il generale Buonaparte amico del fratello di Robespierre e giacobino era nella lista dei sospettati. Il 6 agosto fu arrestato e imprigionato da Saliceti nell’intento di salvare la sua posizione politica e mettersi dalla parte dei nuovi capi. Accusavano Napoleone di tradimento per il fatto di essere stato a Genova. La sua prigionia durò due settimane perché fu dimostrato che il suo viaggio segreto a Genova era stato autorizzato dall’alto comando; in realtà l’Armata d’Italia senza Napoleone si era fermata rinunciando a qualsiasi azione bellica e il comando aveva richiesto urgentemente il ritorno del generale Buonaparte al posto che occupava. Napoleone messosi alle spalle questo increscioso e pericoloso evento, mise a punto un nuovo piano di attacco che venne inviato a Carnot per averne l’approvazione. Era urgente agire perché si era venuto a sapere che gli austriaci stavano ammassando truppe nella valle della Bormida per attaccare i francesi e riprendersi Savona e quindi isolare di nuovo Genova dalla Francia. Il grosso delle forze austriache erano al comando del generale Wallis e aveva come obiettivo immediato la presa del colle di Cadibona mentre un’altra colonna sarebbe stata sbarcata dalla flotta britannica per colpire Savona dalla parte del mare. Napoleone che aveva capito immediatamente la situazione, per difendersi da questi attacchi predispose un piano che prevedeva il rafforzamento delle forze francesi a Savona in modo che fosse possibile tenerla a qualsiasi prezzo. Naturalmente Carnot aveva escluso qualsiasi operazione d’attacco ma i rappresentanti del governo presso l’Armata, vista la delicatissima situazione, decisero di autorizzare l’Armata d’Italia a muoversi. Napoleone aveva studiato uno schema di attacco per fermare gli austriaci che avanzavano verso Savona; con una veloce avanzata lungo la parte occidentale della Bormida l’Armata d’Italia poteva mettersi in condizione di isolare le forze austriache da quelle dei piemontesi e colpire alle spalle le forze austriache che si fossero dirette su Savona.


L’esecuzione di Robespierre



L’avanzata francese ebbe inizio il 19 settembre ed ottenne un successo molto superiore alle aspettative; gli austriaci colti di sorpresa , si ritirarono in tutta fretta su Dego in base ad una precisa direttrice di ritirata che aveva come punto di arrivo Acqui. Il 21 i francesi colpirono ancora gli austriaci a Dego ottenendo una piccola vittoria; gli austriaci lasciarono sul terreno 42 cannoni pensando di aver subito molte perdite tanto che nella notte continuarono a ripiegare verso il paese di Acqui rimettendo ad altro momento più favorevole la continuazione della offensiva appena iniziata. Dumerbion contento di quanto ottenuto decise di dare ascolto a Carnot e rinunciò per il momento a qualsiasi progetto offensivo; era anche vero che l’Armata aveva assoluto bisogno di riposo dopo quasi un anno di combattimenti. Il 24 i francesi iniziarono a ripiegare, con grande disappunto per Buonaparte, in direzione di Vado sulla costa; queste posizioni erano vicine a Savona e permettevano di impedire al nemico di impiegare la città come base navale. Dumerbion con uno slancio di lealtà riconobbe a Napoleone i meriti di tutti i risultati raggiunti tanto da dichiarare: “ E’ all’abilità del generale dell’artiglieria che devo l’ingegnosa serie di misure che ci hanno assicurato il successo” .

LA SORTE GLI VOLGE MOMENTANEAMENTE LE SPALLE


Ma la sua carriera non poteva scorrere liscia e senza intoppi infatti quando tutto sembrava avviato verso il successo ecco arrivare la notizia di un suo trasferimento a Tolone per aggregarsi ad un corpo di spedizione di 10.000 uomini che doveva invadere la Corsica nel marzo del 1795. L’invasione non avvenne perché la flotta inglese aveva il Mediterraneo saldamente in mano e riuscì a più riprese a disperdere la flotta francese che doveva scortare il convoglio di invasione. La spedizione venne annullata ma non era tutto perché il ministero della guerra si accorse di avere in organico troppi generali di brigata d’artiglieria e nel maggio del 1795 decise che il meno anziano doveva essere assegnato al comando di una brigata di fanteria impegnata contro gli insorti della Vandea. L’incarico non piaceva a Napoleone perché significava essere di nuovo coinvolto in una guerra civile e questo era contrario ai suoi desideri perché voleva da sempre essere parte attiva nella guerra grossa combattuta sui fronti occidentali. Decise di andare a Parigi per presentare formale protesta per il nuovo incarico; per strada lo raggiunse un ordine ove era indicato che il suo nome risultava ormai inserito nella lista dei generali in soprannumero e quindi senza impiego. A Parigi dopo una serie di incontri decisamente dai toni alti riuscì ad essere reintegrato nei ranghi di generale di brigata di fanteria inserito nell’Armata Occidentale; come sua abitudine quando doveva eseguire un ordine a lui non gradito chiese una licenza per malattia e rimase a Parigi. Convinto ormai che qualcuno volesse stroncargli la carriera decise di impulso di rassegnare le dimissioni. Ma di nuovo le cose cambiarono rapidamente poiché l’Armata d’Italia era in grave difficoltà. Il 29 giugno , cioè 8 giorni dopo aver dato le dimissioni, gli austriaci sferrarono una offensiva che costrinse i francesi in Italia, ora comandati dal generale Kellermann, a ritirarsi fino a Loano. Tutto il lavoro svolto l’anno precedente era andato in fumo e le forze francesi ridotte a 30.000 uomini ora si trovavano di nuovo sulle linee di partenza. Kellermann temeva di non riuscire a tenere nemmeno Nizza se non fossero arrivati urgentemente dei rinforzi. Il governo in preda al panico convocò tutti quelli che avevano avuto una qualche esperienza sul fronte italiano ; il nome di Buonaparte tornò immediatamente alla memoria per il buon lavoro da lui svolto. Napoleone si trovò di nuovo generale di brigata d’artiglieria con un incarico nel Bureau Topographique del ministero della guerra ( nel caso specifico lavorava nella sezione che si occupava delle operazioni nel settore italiano).
Il lavoro non era certo il migliore che potesse desiderare ma si mise diligentemente al lavoro sfornando a getto continuo compendi, rapporti, suggerimenti ed istruzioni.
I suggerimenti erano così chiari e così precisi che presto il Comitato di salute pubblica accettò i suoi punti di vista emanando ordini perentori, redatti con lo stile di Napoleone, per il generale Schèrer che andava a sostituire Kellermann nel comando dell’Armata d’Italia . Con i rinforzi necessari ( 6000 uomini inviati a Nizza dal Reno e 10.000 dai Pirenei) si cercò di rivitalizzare l’Armata ma il loro arrivo era di una lentezza incredibile. Nel campo avversario iniziarono a manifestarsi pesanti attriti tra il generale austriaco De Wins e il generale Colli che comandava le forze piemontesi; questi disaccordi portarono ad un pericoloso ristagno nelle operazioni e fu la fortuna dell’Armata d’Italia che così ebbe una boccata di ossigeno. Schèrer arrivò al suo posto di comando verso la fine di settembre ma aveva sotto di se solo 33.000 uomini quasi privi di equipaggiamento contro i 30.000 austriaci e i 12.000 piemontesi in piena efficienza. Il 16 novembre i francesi erano pronti per avanzare contro il nemico ma una forte nevicata costrinse il rinvio delle operazioni al giorno 23 e fu un vantaggio per i francesi perché in campo avverso i litigi e i contrasti erano tali che De Wins lasciò il comando che fu ripreso dal generale Wallis.


Vittorio Amedeo III di Savoia



Ne derivò una certa confusione che sicuramente favorì Schèrer che fu in grado di prevenire le mosse del nemico; dopo aver suddiviso le forze a sua disposizioni in tre divisioni semindipendenti tra loro comandate da Sèrurier, da Massena e da Augereau ordinò l’attacco per il 23 novembre. Il nemico sorpreso dalla mossa francese rimase fin dall’inizio disorientato e incerto sul da farsi; Massena riuscì a dividere le forze austriache da quelle piemontesi obbligando le ali delle due forze a ritirarsi rapidamente verso il centro del loro schieramento. Il 25 lo scontro a Loano volse a favore dei francesi come pure inizialmente a Ceva, che stava per cadere, quando le forze francesi iniziarono inspiegabilmente a cedere. Questo fatto avveniva proprio nel momento in cui i generali piemontesi avevano consigliato il re Vittorio Amedeo III a cessare la resistenza e concludere una pace immediata. Cosa era successo in campo francese? Quello che succede sempre quando un esercito si spinge molto in avanti e le linee di comunicazione si allungano tremendamente specialmente se attraversano un terreno difficile e impervio; i soldati erano denutriti e stanchi e mancavano i rinforzi attesi ma mai arrivati almeno per dare il cambio alle unità di testa.


André Massena e Paul Barras



La vittoria conseguita a Loano non poté essere sfruttata in pieno e il 29 gli austriaci erano riusciti a sottrarsi all’accerchiamento, a portarsi nella zona di Aqui dove avevano costituito una linea di resistenza molto ben fornita. Nuove ombre si stavano addensando da Parigi sul generale Buonaparte ; una sostituzione repentina dei membri del Comitato di salute pubblica ( sostenitori di Buonaparte) fece si che i nuovi ripresero in mano la vicenda Buonaparte e Vandea mettendo di nuovo al bando il giovane generale. In un documento redatto il 29 fruttidoro si ordinava l’arresto del generale Buonaparte. La cosa non aveva alcun senso poiché Buonaparte era stato riammesso con il grado di generale di brigata di artiglieria al Bureau Topographique senza troppi problemi; ma la politica si sa è volubilissima e così Napoleone si ritrovò improvvisamente ad essere un civile qualsiasi. La situazione non durò a lungo perché a Parigi riesplose la violenza popolare a causa delle leggi che affidavano il potere al Direttorio, organo esecutivo di sette membri, ed inoltre allungava la vita della Convenzione permettendo che i due terzi degli appartenenti sarebbero stati trasferiti automaticamente alla nuova Assemblea legislativa. Coloro che ancora simpatizzavano per il re a Parigi sotto la guida di circa 20.000 uomini della Guardia nazionale si armarono e cercarono di marciare sul palazzo delle Tuileries dove si sarebbe dovuta riunire la Convenzione per deliberare a favore o contro le nuove leggi. Il governo allarmato per la situazione pericolosa che si stava innescando ordinò a Paul Barras di proteggere l’Assemblea dall’attacco del popolo infuriato utilizzando 5000 uomini dell’esercito regolare e Barras che non era un militare di professione girò letteralmente subito l’incarico ad un ex generale di Brigata che conosceva : Napoleone Buonaparte che accettò immediatamente l’incarico.


La rivolta del 13 Vendemmiaio



Egli prese subito decisioni rapide ; per prima cosa inviò il capitano Murat a Sablons per impossessarsi del parco di artiglieria, poi Napoleone mise i suoi cannoni davanti alle strade di accesso che conducevano alle Tuileries e quando la folla giunse davanti alla chiesa di San Rocco dette l’ordine di sparare a zero.Varie scariche di mitraglia furono sparate sui rivoltosi uccidendo duecento persone e provocando almeno 500 feriti ; la gente impaurita si fermò e tornò di corsa sui propri passi . La rivolta era finita! Era la sera del 5 ottobre L’appoggio dato adesso al governo da Napoleone gettò definitivamente le basi per quello che sarà il suo futuro militare e politico; Barras e gli altri membri del direttorio ormai sicuri di aver scampato ad un grave pericolo dovevano ricompensare l’uomo che aveva salvato loro la posizione politica e la vita. Il 10 ottobre venne promosso comandante in seconda dell’Armata dell’interno e dopo 6 giorni gli fu conferito il grado di generale di divisione. Il 26 ottobre ricevette un nuovo incarico ancora più importante del precedente: comandante in capo.

L’Armata dell’interno era la più potente di tutte ed aveva come incarico primario quello di mantenere l’ordine e il rispetto della legge su tutto il territorio francese. I suoi occhi però continuavano ad essere rivolti alla campagna d’Italia e alla situazione che non era stata definita nonostante alcuni successi riportati. Iniziò ad inviare la governo promemoria e suggerimenti sul come riprendere l’iniziativa in quel settore e le critiche erano rivolte contro Schèrer e i suoi ufficiali: “ Essi hanno commesso l’errore fondamentale di non forzare le posizioni trincerate di Ceva mentre gli austriaci , sconfitti, stavano indietreggiando verso Aqui”…..” L’occupazione di Ceva e l’ammassamento delle nostre truppe intorno a questo caposaldo sono la condizione necessaria per indurre la corte di Torino a chiedere la pace e permetterci così di ridurre in modo considerevole la tremenda spesa che l’Armata d’Italia costa al tesoro pubblico” . Ne nacque uno scambio di vedute piuttosto duro tra Schèrer e il ministro della guerra dietro il quale si sapeva esserci Napoleone; ma Schèrer non si decideva a muoversi e il Direttorio accettò le sue dimissioni; era il 2 marzo. Nello stesso giorno il generale Napoleone Buonaparte fu informato che sarebbe stato lui a prendere il posto di comandante dell’Armata d’Italia. Ecco l’opportunità tanto attesa! Napoleone lettore incallito e abile nell’apprendere si era intanto fatto portare, dietro richiesta scritta, dalla biblioteca del ministero della guerra tutti i libri disponibili sull’Italia ( chissà forse sapeva già dell’incarico prima che gli venisse ufficialmente conferito).


Gli scontri a Le Tuileries



Voglio qui aprire una parentesi perché è mio intendimento chiarire subito una cosa non a tutti nota: Napoleone apprese tante cose sulla strategia e tattica militare leggendo tutto quello che gli fu possibile leggere sulla materia fin dall’epoca della scuola di Brienne. Naturalmente c’è chi legge e dimentica poco dopo ciò che ha letto, chi legge e conserva le cose per alcuni mesi nella mente, altri , pochi in verità, ne fanno una ragione di vita. Napoleone non solo memorizzò tutto o quasi quello che leggeva ma rielaborò nella sua mente i concetti acquisiti scegliendo quelli che a lui parevano più giusti, ( molti dei quali derivavano dalla strategia romana) modificandoli e facendoli diventare da teoria a pratica sul terreno con i risultati che vedremo e che già conosciamo. Fu in questa applicazione semplicemente superlativo!
La settimana successiva fu dedicata allo studio e messa a punto della campagna del 1796 e la mente di tutto era ancora Carnot che voleva a tutti i costi rendere sicure le frontiere francesi e poi penetrare in profondità nel territorio nemico; si trattava adesso di una strategia d’attacco e non più di difesa contro l’Austria , la Gran Bretagna , il regno di Sardegna, ecc..
Ma i nemici della Francia non erano così coesi come potrebbe sembrare da un primo esame e anche gli eserciti di cui disponevano erano molto diversi tra loro per addestramento e per armamento. Per la Francia fu una vera fortuna! In quel periodo infatti l’esercito britannico era ben lontano dall’efficienza tanto vantata; la sua forza disponibile sull’isola era di circa 15000 uomini mentre circa il doppio si trovava sui territori di altri continenti. La disciplina era durissima ma ad essa non corrispondeva una qualità nella formazione dei soldati inoltre i concetti strategici erano superati perché rivolti esclusivamente alle conquiste coloniali . Dunque dal punto di vista bellico l’esercito britannico presentava in quel periodo un aspetto tutt’altro che rassicurante per la nazione ; il concetto tattico era troppo rigido e tremendamente lineare per rappresentare una reale minaccia contro la mobilità e la flessibilità tattica delle forze francesi scaturite dalla rivoluzione. La fortuna della Gran Bretagna era rappresentata dalla Manica che costituiva da sempre un naturale ostacolo contro le invasioni nemiche altrimenti, un esercito come quello francese che sotto la guida di Napoleone divenne potentissimo, l’ avrebbe spazzata via senza pietà. La sicurezza britannica era affidata in realtà molto più alla marina reale che non all’esercito. Nel 1793 la Marina britannica disponeva di 113 navi di linea che erano in grado complessivamente di sparare una bordata di 90.000 libbre; la flotta francese invece disponeva di 76 navi da guerra con una possibilità totale di 75.000 libbre. Espandendo il proprio dominio coloniale la Gran Bretagna continuò sempre a rinforzare questa flotta che le garantiva il dominio dei mari e sicuramente contribuì alla disfatta finale della Francia di Napoleone.
Adesso dopo aver esaminato la Gran Bretagna e le sue forze armate vediamo di cosa disponeva un altro grande se non il più grande nemico della Francia; L’Impero asburgico.
Negli anni finali del 1700 l’imperatore d’Austria aveva sotto le armi un esercito di circa 350.000 uomini con almeno 58.000 uomini appartenenti al magnifico corpo della cavalleria ritenuto il migliore d’Europa. A tanta potenza però spesso non corrispondeva una effettiva qualità ; in parte questo era dovuto alla composizione multinazionale dell’esercito che comprendeva soldati provenienti dalla Serbia, dalla Croazia, oltre che naturalmente ad austriaci e ungheresi. Il problema della lingua unica non fu mai risolto del tutto anche perché gli stati maggiori austriaci non furono capaci di risolvere questo problema; inoltre ogni comandante di reparto era letteralmente sommerso di carte poiché i ministeri a Vienna erano continuamente a chiedere rapporti, statistiche sulla forza dei reparti e resoconti di spesa e di approvvigionamenti e questo andava a danno dell’addestramento dei soldati. Le tattiche austriache erano , come del resto quelle di tutti gli altri eserciti europei, di vecchio tipo basate su schieramenti lineari che almeno all’inizio della guerra con la Francia sembravano ancora funzionare ma che con il tempo e in modo particolare a partire dal 1796 iniziarono a perdere di efficacia nei confronti del miglioramento continuo delle capacità militari francesi. La tecnica adottata dagli austriaci si basava sulle scariche di fucileria di una compagnia o di un battaglione disposto su più linee, ma a questo schieramento non veniva data la dovuta protezione ; la cavalleria per quanto eccellente era spesso mal guidata e ancor peggio impiegata e per l’artiglieria questa non veniva schierata con molta cura e il tiro era di solito poco efficace. Ben presto queste tecniche persero il loro mordente rispetto al progressivo miglioramento di quelle francesi dove si dette molta importanza all’uso dei tiratori con il fucile, che sparavano contro i nemici dopo aver evitato la scarica di fucileria austriaca, e all’uso dell’artiglieria ottimamente servita e piazzata. In pratica le formazioni austriache venivano decimate ancor prima dello scontro principale. Inevitabile per gli austriaci nel 1805 giunse la catastrofe. Le armate francesi avevano una caratteristica unica rispetto ai nemici e cioè la rapidità con cui si muovevano e nessuno riuscì mai ad eguagliare questo primato. Una ragione è da ricercarsi nelle diversità di concetti logistici per i quali i francesi vivevano durante i loro spostamenti utilizzando o meglio predando le risorse locali in modo che “ la guerra pagasse la guerra” ; il vantaggio era rappresentato dal potersi liberare dall’ingombro dei convogli di rifornimenti , troppo lenti a muoversi, e da una strategia che prevedeva la costituzione di arsenali e depositi riforniti già prima del passaggio dell’esercito. Le truppe non avevano al proprio seguito più di 3 giorni di viveri mentre gli austriaci marciavano con tutti i carriaggi al seguito per avere sempre almeno 9 giorni di viveri e munizioni. Quindi in un certo senso per l’epoca i francesi erano capaci di condurre una specie di guerra lampo rispetto ai loro nemici proprio per effetto della loro maggiore celerità di spostamenti. Anche i generali austriaci erano troppo vecchi ed ancorati a concezioni militari antiquate per confrontarsi con quelli francesi pieni di entusiasmo e sempre pronti ad osare; l’unico che poteva competere per capacità era l’arciduca Carlo dotato di buone capacità militari ma purtroppo soggetto ad attacchi di epilessia. Per gli altri paesi nemici della Francia , ed erano tanti, essi non erano in grado da soli di impensierirla minimamente; la Spagna in completo disfacimento, il regno di Napoli con un esercito sempre pronto a scappare alla prima difficoltà sul campo, il regno di Sardegna aveva un buon esercito addestrato dagli austriaci ma il suo comandante Colli, austriaco pure lui, era un uomo ancorato a concetti vecchi e quindi non in grado di manovrare le truppe piemontesi contro i fantasiosi e innovativi francesi. Il Governo francese agli inizi del 1796 disponeva di 5 grandi armate; il generale Jourdan comandava l’Armata della Sambre- et- Meuse con circa 70.000 uomini che si trovava nel basso Reno; l’Armata della Rhin- et- Moselle , sotto il comando del generale Moreau posizionata in Alsazia con anch’essa circa 70.000 uomini, l’armata d’Italia che comprendeva dai 60 ai 65.000 uomini compresi i soldati nelle fortezze e quelli di seconda linea. Oltre a queste tre ce ne erano due più piccole di riserva per operazione a raggio più limitato; l’Armee – des – Alpes , comandata da Kellermann che al momento aveva circa 20.000 uomini e l’altra più piccola in formazione in Provenza lungo il fiume Varo . In tutto dunque circa 240.000 soldati disponibili per proteggere e combattere lungo le frontiere orientali.
Il pensiero di Carnot su come impiegare queste forze era chiaro; c’erano due teatri strategici, quello principale della Germania e quello considerato secondario dell’Italia. Nel decreto del 6 gennaio 1796 Carnot aveva stabilito che il generale Jourdan doveva attaccare la fortezza di Magonza e dopo averla presa, avanzare nella Franconia; il generale Moreau doveva spingersi in Svevia mentre in contemporanea l’Armata d’Italia doveva iniziare l’invasione dell’Italia settentrionale per annientare le forze austriache dislocate nella valle del Po.La speranza era di convincere il Piemonte a passare con i francesi e che dopo la conquista della Lombardia l’Armata avrebbe potuto marciare fino all’Adige per poi , se tutto andava per il verso giusto, risalire la valle di questo fiume e attraversare le Alpi passando per Trento fino al Tirolo dove si sarebbe incontrata con Moreau per collaborare alla completa distruzione delle forze austriache.
Il piano strategico era per grandi linee questo e sembrava valido per essere realizzato anche se necessitava di un forte grado di cooperazione tra le armate e di investimenti enormi a cui la Francia in quel momento non era in grado di far fronte; si poteva sempre ricorrere al saccheggio e all’estorsione per procurare denaro ma iniziare una offensiva in questo modo era molto pericoloso anche per dei soldati come quelli francesi abituati a vivere delle risorse locali.
Possiamo anche riscontrare in tutta questa volontà di combattere gli Stati nemici, un principio idealistico e cioè il desiderio di diffondere i principi della Rivoluzione francese anche negli altri paesi ottemperando così al “ fraternitè” tanto caro alla rivoluzione.
Si deve tenere conto infine che le operazioni contro i paesi ostili alla Francia erano si un modo per difendere il Paese dalle aggressioni esterne, ma anche un modo per distrarre la popolazione dai problemi immensi che ancora esistevano in casa.


Napoleone in Italia



Il 6 marzo le istruzioni emesse per il generale Bonaparte erano le seguenti: “ La situazione richiede che, facendo uso di tutti i mezzi in nostro potere, costringiamo il nemico a ripassare il Po, per esercitare quindi il nostro massimo sforzo in direzione del Milanese”. “ Sembra che questa fondamentale operazione non possa essere intrapresa senza che, quale mossa preliminare, l’esercito francese non abbia conquistato Ceva. Il Direttorio lascia libero il generale comandante in capo di dare inizio alle operazioni attaccando il nemico in quella zona e, sia che vi riporti una completa vittoria o l’avversario si sia ritirato su Torino, il Direttorio lo autorizza ad inseguirlo e ad attaccarlo di nuovo ed anche a bombardare la capitale se le circostanze lo richiederanno.” Dopo essersi impadronito di Ceva e aver portato la sinistra dell’Armata d’Italia nella zona di Cuneo, per minacciare e contenere la guarnigione di quella località, il generale provvederà, appena possibile, alle necessità dell’esercito utilizzando le risorse del Piemonte. Dopo di che dirigerà le sue forze verso il Milanese, sostanzialmente contro gli austriaci. Dovrà respingere il nemico al di là del Po, s’impadronirà dei mezzi per superare questo fiume e cercherà d’impossessarsi della fortezza di Asti e di Valenza” .
Il Direttorio in pratica aveva concesso carta bianca a Napoleone.

CAMPAGNA D’ITALIA APRILE 1796 APRILE 1797


Era il 27 marzo 1796 quando il giovane generale passò in rivista alcuni reparti della malcontenta e mal vestita Armata d’Italia a Nizza dopo poco che ne aveva assunto il comando; in quell’occasione si dice abbia indirizzato un proclama ai soldati dell’armata anche se questo proclama è stato contestato nella sua autenticità perché ritenuto scritto successivamente a Sant’Elena. Il testo recitava così: “ SOLDATI! Voi siete nudi e malnutriti; la Francia vi deve molto, ma non può darvi nulla. La pazienza e il coraggio che avete dimostrato tra queste rocce sono ammirevoli, ma non vi hanno dato gloria: nemmeno un ombra ricade su di voi. Io vi condurrò nelle più fertili pianure della terra. Province ricche, città opulente, cadranno in vostro potere; vi troverete ricchezze, onori e gloria. Soldati dell’Armata d’Italia! Vi lascerete mancare il coraggio e la perseveranza?” . Anche se non fosse questa la verità storica il discorso inquadra bene la situazione dell’armata e le promesse fatte per stimolarla a combattere dignitosamente; Napoleone sapeva già come esortare gli uomini a combattere, dandogli insomma delle prospettive plausibili e comprensibili, evitando di entrare nei meandri della politica che la Repubblica perseguiva; sarebbe stato un tema incomprensibile per dei soldati affamati e senza paga.
L’armata in quel momento era con il morale sotto i piedi; i reparti erano dispersi in piccoli distaccamenti lungo la costa tra Nizza e Savona e le strade di comunicazione erano esposte dalla parte a mare agli attacchi delle navi di Nelson, quelle interne agli attacchi dei guerriglieri locali e delle forze austriache e piemontesi. La situazione dell’Armata che Napoleone andò a comandare era veramente pessima; niente paga da mesi, poco cibo, la cavalleria con pochi cavalli e a mezza razione di fieno, interi battaglioni erano senza scarpe e molti soldati senza fucili e baionette per combattere. In condizioni simili l’Armata si stava disgregando e dei 106.000 che disponeva nel 1792, all’atto della sua costituzione, rimanevano, per diserzioni , malattie e perdite, solo 63.000 uomini in condizioni veramente gravi; all’atto pratico la forza pronta per essere impiegata immediatamente consisteva in 37.000 uomini con 60 cannoni e non c’era da aspettarsi nessun invio di rinforzi dalla Patria.


Piano per la Campagna d’Italia



Solo una offensiva vittoriosa poteva rimettere insieme il morale e la volontà combattiva di quell’armata; così Napoleone convocò tramite il suo capo di stato maggiore Berthier i tre più anziani comandanti di divisione per dare nuovi ordini e metterli al corrente della prossima campagna. Il 27 si presentarono tre generali veramente male assortiti: uno era Sèrurier di 53 anni e uomo dell’Ancien Règime sia come mentalità che come esperienza sul campo, l’altro era Augereau di 38 anni un personaggio strano e con un sacco di avventure alle spalle era diventato generale grazie alla rivoluzione, descritto come un buffone e fanfarone era allo stesso tempo un abile tattico e un buon soldato molto amato tra i suoi uomini. Il terzo generale era Massena anche lui 39 enne all’epoca e già conosciuto da Bonaparte per gli eventi di Tolone e nella campagna in Italia del 1794; era nato a Nizza. Con il tempo vedremo che Massena sarà uno dei migliori ufficiali a disposizione di Napoleone che ne apprezzerà molto la sua esperienza sul campo. I tre generali rimasero molto sorpresi nell’apprendere che sarebbero stati comandati da un generale non ancora ventisettenne ; per loro Napoleone era solo un ufficiale che aveva fatto carriera per motivi politici arrivando al grado di generale per l’influenza del suo amico Barras membro del Direttorio e per il matrimonio contratto dal generale con l’ex l’amante di Barras Giuseppina di Beauharnais.


Marmont, Berthier e Carnot



La sua statura e la sua magrezza ne facevano poi un personaggio più vicino al mondo dell’insegnamento che non a un generale; il conte von Wartenburg lo descrive così: “ La sua magrezza rendeva i suoi lineamenti così taglienti che appariva quasi brutto; la camminata era incerta, i vestiti trasandati, l’aspetto destava nel complesso un’impressione sfavorevole e, comunque, non era certo imponente; tuttavia, a dispetto dell’apparente debolezza del suo fisico, era tenace e vigoroso e, sotto la fronte profonda fiammeggiavano, nonostante il colorito giallastro, gli occhi di un genio, molto incavati, grandi e di color grigio bluastro; dinnanzi al loro sguardo ed alle parole autorevoli che scaturivano dalle sue labbra pallide e sottili tutti si inchinavano profondamente” . Nonostante lo stupore che i tre ebbero nel vederlo, si riservarono di valutarne in sede successiva il talento militare tanto che Massena scrive: ” Un momento dopo si mise in testa il cappello da generale e sembrò di colpo cresciuto di oltre mezzo metro. Ci interrogò circa lo schieramento delle nostre divisioni, e circa lo spirito e la forza effettiva di ciascun reparto; prescrisse la direzione che avremmo dovuto tenere, annunciò che il giorno dopo avrebbe eseguito una ispezione e che quello ancora successivo avrebbe attaccato il nemico” .


Murat, Junot e Moreau



Napoleone era giunto al comando dell’Armata d’Italia con un gruppo di ufficiali ; come capo di stato maggiore aveva scelto Alexandre Berthier molto capace per quell’incarico, poi c’era Gioacchino Murat ufficiale di cavalleria e prestava servizio come colonnello aiutante di campo, poi c’era il maggiore Junot di anni 24 sergente prima a Tolone e poi a Parigi con Napoleone, poi c’era il fratello Luigi Bonaparte e il giovane Marmont amico e ufficiale di artiglieria. Un gruppo di ufficiali, che si sarebbero rivelati di grande talento, si era ritrovato per volontà del destino a servire un così giovane generale.
Preso atto che occorreva un periodo anche minimo all’armata per organizzarsi e riequipaggiarsi, Bonaparte stabilì che l’azione avrebbe avuto inizio il 15 aprile e chiese di fare tutto il possibile per mantenere quella data.

Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo della campagna d’Italia del 1796-1797.


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Ricordo ai lettori dei miei articoli, a cui rivolgo i più sentiti ringraziamenti, le mie pubblicazioni di storia del periodo 1918/1946 che si trovano in vendita nelle librerie:

-- 8 settembre 1943 fine di un sogno di gloria. Editori dell'Acero, 2001
-- Dalla democrazia al regime 1919-1929 i primi anni del fascismo. Editori dell'Acero, 2003
-- Hitler e Stalin il tempo dell'amicizia e il tempo della guerra... Editori dell'Acero, 2004
-- Salò e l'Italia nella guerra civile. Edizioni Ibiskos, 2005
-- 25 luglio 1943 - La fine inconsapevole di un regime. Edizioni Ibiskos, 2007