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La Campagna di Grecia 1940-1941 - I^ parte
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Written by Mario Ragionieri   

Dopo un periodo di silenzio dovuto alla stesura del mio nuovo libro (che uscirà a marzo) eccomi di nuovo a voi amici lettori per affrontare un argomento che ritengo molto interessante e cioè l’aggressione compiuta dall’Italia nei confronti delle Grecia, un paese allora con un regime autoritario, molto simile a quello esistente in Italia e al quale il suo dittatore e capo Giovanni Metaxas si era ispirato per costruire il proprio potere. Benito Mussolini dopo aver indicato per tanto tempo a tutti gli italiani che i nemici veri erano le democrazie occidentali, aggrediva un paese che di democratico proprio non aveva niente, anzi era ben disposto verso l’Italia e il suo regime, e non aveva nessun motivo di contrasto con noi. Fu una scelta, come vedremo, tragica e sbagliata che anche se alla fine vincente grazie all’aiuto tedesco, costituì il vero passo falso verso la totale rovina del regime di Mussolini e della sua creatura: il fascismo.

 

Ma andiamo con ordine. Non esistevano nella realtà motivi di attrito tra Italia e Grecia anzi Metaxas aveva trascorso quattro anni di esilio politico a Siena e si era reso conto proprio in quel periodo di tutte le affinità politiche tra greci e italiani; “Se in tutta la Grecia vi era un solo uomo che provasse veramente un sentimento di affetto per l’Italia, quell’uomo era Giovanni Metaxas”, scriveva Emanuele Grazzi il nostro rappresentante ad Atene.
Purtroppo in quel momento storico, il 1940, Mussolini era più preoccupato a farsi dei nemici che non quello di crearsi alleati sicuri; voleva dimostrare a Hitler vittorioso in Europa e che faceva sempre le cose senza preventivamente avvisarlo, come invece avrebbe dovuto secondo quanto stabilito nel patto d’acciaio, che anche lui era in grado di fare la Blitzkrieg. Per farlo scelse malauguratamente la piccola Grecia.


Metaxas e Papagos

Iniziamo la nostra storia dall’occupazione italiana dell’Albania l’8 aprile 1939, operazione semplicissima e avvenuta senza spargimento o quasi di sangue, che però destabilizzò i già precari equilibri esistenti nei Balcani e soprattutto insospettì la Grecia e la Jugoslavia tanto che gli inglesi presero la palla al balzo per offrire a Metaxas, dittatore filo mussoliniano, la propria disponibilità a difendere la Grecia da qualsiasi aggressione. I greci temevano che l’occupazione dell’Albania fosse il preludio di un attacco alla Grecia (stessi sospetti ebbe la Jugoslavia). E non aveva torto; nella politica di Mussolini ma anche di Ciano c’era di tutto: il progetto per la conquista di Corfù, accenni ad una occupazione dell’Epiro, l’invasione di tutta la Grecia, la pace nei Balcani. Tutta una massa di idee confuse e programmi campati in aria ma niente di veramente studiato e approfondito. Metaxas cercò di adottare una politica remissiva verso l’Italia senza dare appigli per provocare una reazione ma nello stesso tempo disse all’inviato britannico che era deciso a resistere a qualsiasi attacco e che se fosse scoppiata una guerra questa sarebbe stata totale. La Grecia ha sostenuto sempre che la garanzia degli Alleati non fu sollecitata da Metaxas, ma fu una iniziativa del governo inglese; la cosa è formalmente vera ma in sostanza non lo è del tutto. La Grecia si rendeva conto del pericolo incombente ed era naturale che cercasse assicurazioni e protezioni dove poteva averle.

Neville Chamberlain il 13 aprile annunciò alla Camera dei Comuni la garanzia inglese alla Grecia e alla Romania con queste precise parole:”Nell’eventualità di una minaccia contro l’indipendenza della Grecia e della Romania, minaccia contro la quale il governo greco e romeno ritenessero necessario opporsi con le loro forze nazionale, il governo britannico si riterrebbe tenuto a dare ai governi di Grecia e di Romania tutto il possibile aiuto”. Negli stessi termini Daladier dava la notizia alla Francia.
Il 12 maggio Ciano annotava nel suo diario a proposito dell’Albania (ma con allusioni alla Grecia) “I lavori pubblici in Albania cominciano ad andare bene. Tutto il programma stradale viene rivolto verso i confini greci: ciò è stato ordinato dal Duce che medita sempre più di saltare addosso alla Grecia alla prima occasione”. L’Albania era il feudo personale di Ciano dove il suo portavoce Jacomoni muoveva le pedine truccate per comodità dal suo capo. Nella seconda metà di agosto del 1939 gli italiani si schierarono ai confini della Grecia e i greci, che da sempre temevano l’offesa da parte della Bulgaria, si prepararono ad una diversa eventualità; l’Italia aveva commesso una gaffe imperdonabile più di un anno prima dell’attacco vero e proprio alla Grecia aveva messo sull’avviso il paese e da questo atto insensato i greci trassero enormi vantaggi modificando intelligentemente i propri piani difensivi.
Verso la fine di agosto del 1939 i rapporti tra Italia e Grecia divennero molto tesi delle 5 divisioni che erano in Albania (c’erano anche alcuni grossi reparti autonomi) almeno 4 erano state avviate al confine greco e i nostri aerei sconfinavano spesso nello spazio aereo greco tanto che il generale Papagos si era lamentato che ai soldati italiani venivano fatti, da parte del generale Guzzoni allora comandante delle truppe italiane in Albania, discorsi bellicosi contro la Grecia. Il 16 agosto Badoglio, capo di Stato maggiore Generale, ricevette l’ordine di mettere a punto un piano per l’invasione della Grecia Guzzoni incaricato della cosa lo preparò in tre giorni rielaborando un piano da lui stesso preparato e dove si prevedeva che per un attacco che avesse come obiettivi Salonicco e Atene ci volevano almeno 18 divisioni rinforzate divise in 6 corpi d’Armata di cui 12 divisioni avrebbero puntato su Salonicco, tre divisioni avrebbero puntato su Gianina e le altre tre divisioni avrebbero presidiato la frontiera con la Jugoslavia. Guzzoni chiedeva almeno un anno per la preparazione e la presenza di tutte le divisioni richieste in Albania prima dell’attacco nonché importanti lavori stradali e portuali. L’allora sottosegretario alla Guerra Alberto Pariani consigliò che le 18 divisioni previste fossero portate a venti.


Galeazzo Ciano e i generali Guzzoni e Geloso

Ma Mussolini cambiava idea molto di frequente e già l’11 settembre 1939 egli faceva sapere al nostro rappresentante ad Atene che : “La Grecia non è sulla nostra strada e noi non vogliamo nulla dalla Grecia. Ho piena fiducia in Metaxas che ha riportato l’ordine nel suo paese”. E il 20 settembre ribadiva a Guzzoni che : “della guerra contro la Grecia non se ne fa più nulla. La Grecia è un osso spolpato, e non vale la pena che perdiamo anche uno solo dei nostri granatieri di Sardegna”. I greci cha a fine agosto avevano a protezione forze ridottissime, adottarono come contromisura una mobilitazione parziale, molto confusionaria ma che servì come banco di prova per la mobilitazione che sarebbe avvenuta nell’ottobre del 1940. Nonostante le assicurazioni italiane che Mussolini trasmise a Metaxas tramite Grazzi la Grecia non si sentiva tranquilla; nemmeno la sostituzione di Guzzoni con il Generale Geloso modificò l’atteggiamento di sospetto che ormai aleggiava.Il generale Papagos iniziò a prendere delle misure atte a contenere un eventuale attacco italiano che dalle sue memorie risultano essere: “Sviluppo della rete di osservazione aerea e dei mezzi di difesa contraerea,; sviluppo della rete di comunicazioni; diradamento per ragioni di sicurezza delle unità aeree e adozione delle misure per la difesa contraerea degli aeroporti; rafforzamento delle unità già mobilitate dell’esercito, e chiamata sotto le armi a scopo addestrativi, per un mese delle classi di riservisti; chiamata alle armi di classi e di ufficiali di complemento; rafforzamento delle grandi unità dislocate in prossimità dei confini mediante l’invio di contingenti dei reparti dell’interno; l’adozione di varie misure preparatorie alla mobilitazione generale”.
Ma tutto restò fortunatamente tranquillo nonostante che il nuovo ambasciatore greco a Roma Politis poco esperto di cose italiane, alimentava il clima di sospetto e arrivava a dare per imminente nell’aprile del 1940 una nostra azione intesa ad occupare Corfù e Salonicco; cosa a cui a Roma nessuno in quel momento pensava.

Una crisi ancora più preoccupante ci fu quando l’Italia entrò in guerra. Mussolini aveva rivolto ai paesi neutrali un appello: “Io dichiaro solennemente che l’Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa confinanti per terra e per mare. Svizzera Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole. Dipende da loro e soltanto da loro se esse saranno o no rigorosamente confermate”ma non erano certo parole del tutto tranquillizzanti perché chi vuole la guerra un appiglio riesce sempre a trovarlo. Metaxas credette alla buona fede di Mussolini e incontrando Grazzi gli confermò che: “la Grecia è fortemente decisa a conservare la più stretta neutralità”e che: “la Grecia è decisa a difendersi con le armi e l’Inghilterra è stata informata di tale decisione”. Ma De Vecchi governatore delle isole italiane nell’Egeo continuava ad inviare a Roma segnalazioni che navi e aerei inglesi usavano la Grecia per rifornire le proprie navi e sollecitava un intervento diplomatico da Roma. Ciano annota nel suo diario in data 3 luglio 1940: “Ho parlato a voce alta al ministro di Grecia. De Vecchi telegrafa che le navi inglesi e forse anche gli aerei trovano in Grecia asilo, rifornimenti e protezione. Mussolini è furioso. E’ deciso qualora questa musica dovesse durare, a passare all’azione. Il Ministro di Grecia ha debolmente tentato di negare ma se ne è andato con la coda tra le gambe”. E il 5 luglio annotava: “La Grecia da, per tramite del ministro, assicurazioni di neutralità integrale, che il Duce accoglie con beneficio d’inventario, tanto più che De Vecchi insiste nelle sue accuse”. Ma le cose erano sempre più strane. Mondini, nostro addetto militare ad Atene osservava che: “non molto chiaro appare il contegno delle autorità elleniche in occasione dello scontro navale che ci costò la perdita dell’incrociatore Colleoni, perché sembra che a decidere le sorti del combattimento impegnato dal Colleoni e Bande Nere, inizialmente contro un solo incrociatore britannico, sia stato un secondo incrociatore, apparso inopinatamente da una insenatura della costa nord occidentale dell’isola di Creta”. Iniziarono una serie di piccoli incidenti; l’aviazione italiana colpiva per errore una piccola nave greca l’Orion e il caccia Idra che soccorreva l’Orion, veniva attaccato a sua volta. Metaxas attribuì questo attacco agli inglesi proprio per evitare contrasti con l’Italia. Grazzi il 4 luglio 1940 assicurò Metaxas che la nostra politica verso la Grecia era immutata al che Metaxas rispose che “era deciso a difendere la neutralità greca contro chiunque”. Ma le cose, nonostante i segnali di amicizia che la Grecia inviava all’Italia, non erano così chiare; infatti Mussolini aveva deciso ormai di regolare il “conto sospeso”che fin dal 1923 aveva con la Grecia. La propaganda italiana iniziò ad indirizzare l’opinione pubblica verso una possibile azione militare contro la Grecia fornendo prove e accuse circa la non buona fede dei greci che a parole dicevano neutralità assoluta e nei fatti aiutavano gli inglesi. Non era vero ma serviva a creare il clima per preparare il conflitto.
Il ministro degli esteri tedesco Ribbentrop cercava di gettare acqua sul fuoco perché non voleva assolutamente che scoppiasse un conflitto con un paese amico quale era la Grecia perché temeva, ed a ragione, che questo avrebbe aperto le porte ad un intervento inglese e quindi ad un insediamento di forze britanniche nel sud dell’Europa con la conseguenza di rendere più pericoloso il Mediterraneo. Ciano rispondeva a Ribbentrop che: “con la Grecia stiamo portando la vertenza su un pino diplomatico e ci limitiamo a rinforzare con altre divisioni le attuali sei divisioni che presidiano l’Albania”. Il 22 agosto Mussolini diventato ragionevole ma probabilmente solo per pochi giorni, affermava in un appunto segreto che ” il settore libico diventa il principale sul quale bisogna convergere attenzione e sforzi. Gli altri due scacchieri, il greco e lo Jugoslavo, a meno che non siano jugoslavi o greci o inglesi a prendere l’iniziativa, diventano scacchieri di osservazione e di vigilanza, necessaria vigilanza data la politica equivoca seguita da quei due stati e lo stato d’animo dei popoli. Si può quindi rallentare il ritmo predisposto per gli schieramenti su quei due scacchieri, ultimando quello sul fronte est al 20 ottobre invece che al 20 settembre e quello sul fronte greco alla fine di settembre invece che alla fine di agosto. E’ chiaro d’altronde che una volta battuta la Gran Bretagna gli stati che hanno più o meno copertamente simpatizzato con Londra non faranno difficoltà a seguire quelle che potranno essere le decisioni dell’Asse”.


Sebastiano Visconti Prasca e i generali Roatta e Soddu

In Albania una persona contribuiva a far crescere e rafforzare le illusioni in Mussolini e in Ciano che la macchina bellica predisposta in Albania fosse effettivamente efficiente questa persone era il luogotenente del Re a Tirana, conte Francesco Jacomoni di San Savino. Le sue assicurazioni e le sue promesse illusero Mussolini e Ciano. Jacomoni e Visconti Prasca costituirono un binomio formidabile per la preparazione sbagliata di una guerra sbagliata sotto ogni punto di vista. Jacomoni assicurava Roma che l’intesa esistente tra lui e il comandante superiore delle truppe Visconti Prasca era costante e perfetta; agitava la storia della Ciamuria da annettere all’Albania senza rendersi conto, dice lui nelle sue memorie, che così facendo sarebbe stato inevitabile un conflitto con la Grecia.
Ma altri eventi si succedevano in modo strano accrescendo la tensione tra i due paesi; il 15 agosto alle 8,30 un sommergibile di apparente nazionalità sconosciuta (ma gli inglesi dissero subito che era italiano e gli italiani ribatterono che invece era inglese) colpì e affondò nel porto di Tino l’Helli, un vecchio incrociatore greco. Il fantomatico sommergibile lanciò tre siluri di cui uno andò a bersaglio sull’incrociatore e gli altri due esplosero contro il molo; ci furono un morto e 29 feriti e il luogo, considerato sacro come Lourdes o Loreto e quindi pieno di pellegrini, e l’occasione erano così gravi che l’azione parve una provocazione e anche un sacrilegio. Alcuni frammenti di siluri recuperati avevano scritte in italiano. Anche Ciano non aveva idea di chi fosse quel siluro e si limitò a dire che l’Italia aveva fornito siluri anche all’Inghilterra, ma in cuor suo pensò a qualche intemperanza di De Vecchi e aveva visto giusto.
Nel 1960 lo stesso De vecchi confermò che l’affondamento dell’Helli era stata opera di un sommergibile italiano.
Abbiamo parlato di Visconti Prasca quale comandante superiore delle truppe italiane in Albania e quindi mi sembra il caso di conoscerlo un poco meglio Aveva sostituito il generale Carlo Geloso perché non andava d’accordo ne con Jacomoni ne con gli albanesi (anche se per ironia della sorte sarà proprio Geloso colui che occuperà la Grecia), ed era un uomo molto fiero della sua prestanza fisica che contrapponeva all’aspetto mediocre che avevano Soddu e Roatta. Amico di Soddu aveva invece rapporti molto freddi con Roatta. Il 26 maggio del 1940 fu ricevuto da Mussolini appena era stato designato nuovo comandante delle truppe in Albania. Mussolini secondo Visconti Prasca gli dette delle istruzioni in questi termini: “Lei conosce bene l’Albania e i Balcani e certo saprà usare il tatto che ci vuole con quella gente suscettibile. Tatto, tatto ci vuole! ”. Di una eventuale guerra non fu fatto nessun accenno.
Le nostre forze in Albania al momento in cui Visconti Prasca assunse il comando erano costituite da 5 “belle”divisioni: tre di fanteria a organici rinforzati, la Ferrara (generale Zannini); la Arezzo (generale Molinari); la Venezia (generale Pitassi); la divisione alpina Julia (generale De Giorgis); la divisione corazzata Centauro (Generale Magli). Alcuni corpi autonomi tra i quali il 3° reggimento Granatieri di Sardegna comandato dal colonnello Andreini. Le forze non indivisionati erano costituite da alcuni reparti albanesi e da altri reparti italiani per una forza complessiva di circa due divisioni. Le divisioni definite belle avevano si organici ed armamento completo, ma soffrivano dei mali che affliggevano tutti i reparti del nostro esercito: scarsa mobilità, armamento debole, poca forza di penetrazione e proprio questi mali furono la causa delle sconfitte e delle umiliazioni che subimmo in Grecia e in genere su tutti i fronti.
Visconti Prasca iniziò a spostare i reparti da come li aveva trovati schierati nell’intento di concentrarli il più possibile; da Roma lo Stato maggiore intervenne in senso negativo su tale manovra pur sapendo ben poco della situazione reale sul suolo albanese. Mussolini sollecitato da Ciano e dallo Stato Maggiore affidò a Geloso, che era rientrato a Roma ed era considerato uno specialista di cose di Albania, il compito di mettere allo studio una eventuale “operazione offensiva a scopo e raggio limitato contro la Grecia”. In pratica si trattava di studiare l’occupazione dell’Epiro, dell’ Acarnanaia fino a Missolungi e delle isole ioniche; il piano partiva dal presupposto di un intervento della Bulgaria che doveva impegnare il grosso dell’esercito greco e la presenza di sole tre divisioni greche nell’Epiro. In alternativa si pensava anche ad una accettazione da parte greca dell’occupazione senza impegnare le proprie forze.
Geloso studiò un piano che prevedeva l’impiego di 11 divisioni oltre a due reggimenti di cavalleria e uno di granatieri. Cinque divisioni da impiegarsi nell’attacco in Epiro, una per occupare Corfù, due per la zona di Coriza e tre alla frontiera con la Jugoslavia. Da questi studi nacque un piano d’azione che fu denominato Emergenza o Esigenza G che ridimensionava le unità previste da Geloso a 8 divisioni più alcuni reparti autonomi. Questo piano si basava su premesse poco conosciute e prive di senso, era militarmente molto incerto e fu approvato nonostante che lentamente tutti i presupposti che lo potevano rendere attuabile erano caduti.

A metà agosto avevamo in Albania 104.000 uomini e le unità a cui appartenevano pur essendo considerate dallo Stato maggiore unità rinforzate, avevano carenze negli organici e cosa ancor più grave negli armamenti e nei materiali. Ciano convocò a Roma la sera dell’11 agosto sia Visconti Prasca come pure Jacomoni e accennò loro che si sarebbe provveduto ad una occupazione militare della Ciamuria e che l’operazione avrebbe dovuto essere approntata per il 15 agosto. Visconti Prasca chiese subito a Roatta che se questi erano gli ordini dovevano essere inviate subito due divisioni, 4 gruppi di artiglieria someggiata, tre battaglioni di alpini e tre di camicie nere. Il 12 Visconti Prasca e Jacomoni furono ricevuti dal Duce che chiese a Jacomoni notizie sull’irredentismo ciamuriota e a Visconti Prasca se le divisioni che aveva a disposizione erano sufficienti per una occupazione improvvisa dell’Epiro. Visconti Prasca rispose che in base alle sue informazioni l’Epiro in quel momento era debolmente presidiato da forze sul piede di pace, quindi una azione fulminea avrebbe avuto notevoli possibilità di riuscita. Le forze a disposizione in quel momento in Albania erano rivolte verso la Jugoslavia e quindi si doveva procedere in tempi brevissimi al rovesciamento di fronte per evitare che i greci prendessero contromisure tali da rendere improbabile la riuscita dell’impresa. Comunque aggiunse che anche per tale evenienza le truppe a sua disposizione in Albania dovevano essere rapidamente potenziate. Siccome l’arrivo di nuove divisioni in Albania non sarebbe avvenuto in tempi brevi e i greci se ne sarebbero accorti era meglio secondo Visconti Prasca rafforzare con gruppi supplementari di artiglieria someggiata e da montagna le unità già esistenti.La cosa avrebbe dato meno nell’occhio e avrebbe permesso alle unità di disporre in tempi brevi di reparti adatti al combattimento in montagna dove le strade erano inesistenti e quindi non percorribili dalle unità di artiglieria ippotrainate con cavalli. Emergenza G si ridimensionava e diventava nell’ottica di Mussolini solo “un colpo di mano in grande.” Badoglio informato da Visconti Prasca del colloquio con Mussolini si limitò a dire “E’ matto, ora vuole anche la Grecia”; mentre Roatta lo accolse in modo poco cordiale promettendo solo che avrebbe fatto approntare per la Eventualità G due divisioni di fanteria, 4 gruppi di artiglieria someggiati, 3 battaglioni di alpini valle, 4 battaglioni di camicie nere, e 10.000 fucili per armare i battaglioni di volontari albanesi. Commentava Visconti Prasca che “I rinforzi promessi da Roatta erano troppi e di troppo lento afflusso per eseguire un colpo di mano, erano pochi per impegnare una guerra”.
Visconti Prasca rientrato a Tirana chiese subito le istruzioni promesse da Badoglio attraverso lo Stato Maggiore e fece presente di nuovo che in quel momento le nostre divisioni avevano ancora uno schieramento rivolto contro la Jugoslavia e che una sola divisione presidiava la frontiere greca. Roatta rispose annunciando l’invio di tre divisioni e cioè la Parma, la Siena, la Piemonte; mentre già erano stati trasferiti in Albania i reggimenti di cavalleria Aosta e Milano più erano messi a disposizione di Visconti Prasca un battaglione di mitraglieri autocarrato, un battaglione di artieri, un battaglione pontieri, un reparto di movimento stradale, 3 autoreparti, 12 ospedali da campo. Il cosiddetto scacchiere albanese si trasformava con queste misure da una situazione di quiete periferica a un piede di tensione. Le truppe italiane iniziarono a muoversi a piedi dal confine con la Jugoslavia alle zone interne dell’Albania e dalle zone interne dell’Albania verso il confine greco.
Il 23 agosto lo Stato Maggiore informava Visconti Prasca che lo schieramento delle truppe italiane sulla frontiera greca doveva essere pronto non per il primo di Settembre ma per il primo di Ottobre. In vista dell’attuazione dell’Emergenza G. Il 31 di agosto la data veniva ancora spostata al 20 di ottobre. A Hitler Mussolini aveva scritto il 24 agosto che le misure militari prese alla frontiera con la Jugoslavia e la Grecia avevano un carattere esclusivamente cautelativo poiché si trattava di due stati ostili secondo il Duce all’Asse e pronti a pugnalarlo alla schiena non appena si fosse creata l’occasione (non era vero) “La Grecia ha dato prova -scriveva Mussolini- che la sua intesa con la Gran Bretagna continua. Tutti i porti greci servono da basi contro di noi. Malgrado ciò e salvo avvenimenti imprevedibili, non è in questo settore che intendo dirigere il mio sforzo militare, ma verso l’Egitto”.

Il 31 agosto il generale Armellini annotava: ”La verità è questa: che da una parte Ciano vuol la guerra alla Grecia per allargare i confini del suo Granducato; che Badoglio vede quanto sarebbe grave il nostro errore di accendere i Balcani (e la Germania è di questo parere) e la vuole evitare; che il Duce da ragione ora all’uno ora all’altro”.
La Emergenza G sembrava accantonata e le divisioni assegnate a questa operazione erano sistemate a difesa e precisamente: la Parma nella Macedonia; la Julia pronta in caso ad una azione a vasto raggio verso Metzovo per dividere lo scacchiere greco dell’Epiro da quello macedone; la Ferrara e la Centauro protese verso le valli della Vojussa e del Dhrino, la Venezia incaricata di aiutare la Centauro per prendere la rotabile Perati – Kalibaki così da aprire il cammino della divisione corazzata verso Gianina e Arta, la Siena e i reparti celeri schierati lungo il litorale; la Piemonte di riserva. Il piano di Visconti Prasca dava le divisioni Parma, Siena e Piemonte già disponibili mentre invece erano in fase di trasferimento dall’Italia all’Albania.
I greci intanto mobilitavano convinti ormai che nonostante le altalenanti informazioni provenienti dall’Italia e dalla Germania, dietro a tutti quei movimenti ci fosse una volontà ben precisa di scatenare una guerra. Alla fine di agosto le forze greche sui confini con l’Albania erano costituite da: l’8° divisione, la 9° divisione, la 1° divisione, due brigate di fanteria il tutto appoggiato da artiglieria e da piccoli reparti autonomi. Forze molto modeste ma che andavano ingrossandosi lentamente con l’afflusso continuo di soldati dai centri di mobilitazione in Grecia. Non si poteva assolutamente pensare di sorprendere i greci con un colpo di mano come aveva pensato di fare Visconti Prasca perché quello che era un velo di truppe greche diventava ogni giorno di più una linea consistente e profonda.



Il 28 agosto Metaxas scriveva nel suo diario: “Pongo il problema della dignità della Grecia al disopra di qualsiasi altro. Non piegherò la testa davanti agli italiani”. Questa frase era da considerarsi il risultato della diplomazia di Ciano che dava per certa una rapida resa della Grecia e della nostra azione propagandistica e militare.
Sta di fatto che ai primi di ottobre lo Stato Maggiore e il sottosegretario alla guerra Soddu erano convinti che della Grecia non ci si dovesse più occupare almeno per un lungo tempo; ma non sarebbe stato così.
L’11 ottobre i tedeschi avevano comunicato a Mussolini che “in seguito a richiesta della Romania” una missione militare tedesca si sarebbe recata a Bucarest e che aerei tedeschi avrebbero difeso i pozzi di petrolio di Ploesti. La realtà era leggermente diversa e più importante; già dall’8 ottobre infatti reparti germanici erano entrati in Romania senza come al solito renderne conto a Mussolini, Hitler aveva preso l’iniziativa in barba agli accordi con l’alleato e senza consultarlo come invece avrebbe dovuto. Ciano, vedendo in questo atto di Hitler un nuovo aiuto per convincere Mussolini ad affrontare quella che era ormai la sua guerra personale, scriveva nel suo diario: “Mussolini soprattutto è indignato per l’occupazione germanica della Romania. Dice che ciò ha profondamente e malamente impressionato l’opinione pubblica italiana”. Secondo Ciano Mussolini avrebbe dichiarato “Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l’equilibrio verrà ristabilito”. Alla domanda di Ciano che chiedeva se Badoglio era d’accordo il Duce rispondeva “non ancora. Ma do le dimissioni da italiano se qualcuno trova delle difficoltà per battersi con i greci”. E Ciano scrive che ormai il Duce sembrava deciso ad agire e aggiunge: “in realtà credo l’operazione utile e facile”.
Mussolini parlò della decisione di muovere alla conquista della Grecia a Ciano e al sottosegretario Soddu; Soddu informò Badoglio che a sua volta diramò, il 13 ottobre, il seguente ordine: “Alle ore zero del giorno ventisei tutto deve essere pronto per poter iniziare in Albania la prevista azione (Emergenza G) ”.
Il 15 ottobre alle ore 11 ci fu una riunione ad alto livello a Palazzo Venezia presieduta da Mussolini; erano presenti Badoglio, Roatta, Soddu, Visconti Prasca, Ciano, Jacomoni, il segretario colonnello Trombetti. Non furono convocati ne Cavagnari, capo di stato Maggiore della marina né Pericolo, Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, come se si trattasse di discutere cose che non li riguardavano.