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La Campagna di Grecia 1940-1941 - 2^ parte
(1 voto)
Written by Mario Ragionieri   

Un Mussolini, molto sicuro di se e molto “comandante in capo” iniziò dicendo che la ragione della riunione era quello di definire “le modalità dell’azione, nel suo carattere generale, che ho deciso di iniziare contro la Grecia”. L’azione militare doveva portare in un primo momento alla occupazione di tutta la costa meridionale albanese e delle isole Ioniche Zante, Cefalonia, Corfù e la conquista di Salonicco (naturalmente riteneva albanesi parti della Grecia cioè la Ciamuria). Poi proseguì dicendo che “In un secondo tempo, od in concomitanza di questa azione, l’occupazione integrale della Grecia per metterla fuori combattimento e per assicurarci che in ogni circostanza rimarrà nel nostro spazio politico economico. Precisata così la questione ho stabilito anche la data che a mio avviso non può essere rimandata nemmeno di un ora: cioè il 26 di questo mese. Questa è una azione che ho maturato lungamente da mesi e mesi prima della nostra partecipazione alla guerra ed anche prima dell’inizio del conflitto”.

Mussolini passò poi all’aspetto politico della campagna spiegando che non vedeva eccessive complicazioni al nord da parte della Jugoslavia e neppure da parte della Tirchia “specialmente da quando la Germania si è impiantata in Romania e da quando la Bulgaria si è rafforzata”. Infatti egli si riprometteva di invitare la Bulgaria ad aderire al conflitto contro la Grecia promettendole in cambio uno sbocco sull’Egeo. Ancora una volta appare chiaramente il dilettantismo con cui Ciano e Mussolini affrontavano un tema come quello della partecipazione della Bulgaria al conflitto; invece di considerarlo basilare lo riducevano ad un semplice invito senza considerare che il grosso delle divisioni greche era schierato ai confini della Bulgaria perché ritenuta più pericolosa dell’Italia. La situazione sarebbe cambiata solo quando resosi palese l’intervento italiano i greci capovolsero il fronte spostando le proprie forze sul confine albanese trascurando ogni sicurezza su quello bulgaro certi di un non intervento della Bulgaria.
Fu una pazzia ma che rese il servizio che doveva rendere mettendo alla corda gli italiani, ma di questo parleremo dopo. Mussolini considerava l’opinione pubblica greca noncurante della guerra ma non era così e se ne sarebbe presto accorto. Anche Jacomoni che prese la parola dopo Mussolini parlò di entusiasmo albanese per la guerra e dei cittadini greci in genere “ostentatamente noncuranti” e precisò anche che “dalle notizie dei nostri informatori risulta che mentre due mesi fa i greci non sembravano propensi ad una seria resistenza ora appaiono decisi ad opporsi alla nostra azione”. Ma Mussolini voleva una risposta sicura e Jacomoni fini col dire, in risposta ad una precisa domanda del Duce, e cioè “Quale è lo stato d’animo della popolazione in Grecia? ”, che “Appare profondamente depresso”. Passarono poi all’aspetto militare e Visconti Prasca descrisse l’azione contro l’Epiro dove risultavano essere in armi circa 30.000 greci; disse “questo scacchiere ci permette una serie di avvolgimenti delle truppe greche, ciò che ci consente l’occupazione dell’Epiro in breve tempo, dieci o quindici giorni…..l’operazione è stata preparata fin nei minimi dettagli ed è perfetta…. Lo spirito delle truppe è altissimo, l’entusiasmo al massimo grado.. L’unica manifestazione di indisciplina è stata quella di ufficiali e soldati per eccesso nell’ansia di voler andare avanti e di combattere”. Visconti Prasca affermò inoltre che in Epiro la superiorità delle truppe italiana era notevole 70.000 contro 30.000. Mussolini insisteva per la presa di Salonicco, ma su questo punto Visconti Prasca lo frenava indicando che per quell’obiettivo occorrevano almeno due mesi. E che occorreva aver occupato il porto di Prevesa. Mussolini gli raccomandò di non preoccuparsi troppo delle perdite e Visconti Prasca senza preoccuparsi di quello che diceva aggiungeva che aveva ordinato “che i battaglioni attacchino, sempre, anche contro una divisione”; ordine che nessun militare di buon senso avrebbe mai dato (questo tanto per capire il livello di conoscenze militari di Visconti Prasca; colui che doveva guidare l’attacco alla Grecia).



Badoglio da militare consumato affermò che il piano di Visconti Prasca andava bene ma che doveva essere esteso a tutta la Grecia e che occorrevano circa venti divisioni mentre in Albania in quel momento ce n’erano solo nove più una di cavalleria (errore perché erano nove in tutto compresa anche quella di cavalleria). Quindi Badoglio arrivò alla conclusione che “era evidente che in queste condizioni occorrono tre mesi”; e Roatta di rincalzo aggiunse che “bisognava studiare subito il problema dell’occupazione totale della Grecia”.
Mussolini disse a questo punto “Stabilito l’inizio delle operazioni il 26 corrente, prevista la liquidazione dell’Epiro verso il 10-15 novembre, abbiamo fino a quel momento un altro mese per l’invio di nuove forze”. Ma Visconti Prasca non voleva troppe divisioni subito (era una idiozia perché la massa avrebbe fatto breccia nel fronte; pensiamo alle offensive in genere si concentrano molte truppe in un breve spazio per colpire con una forza poderosa solo quel punto) e quindi aggiunse che “L’invio di altre truppe dipende da quello che è lo svolgimento del piano e non possono essere mandate che ad Epiro occupato”. Ad un certo punto Mussolini chiese quante divisioni supplementari egli ritenesse necessarie per occupare l’intero territorio fino ad Atene, Visconti Prasca rispose che “in un primo tempo” di tre divisioni da montagna: Mussolini approvò tra il generale consenso e a niente valsero deboli obiezioni fatte da alcuni dei presenti.
Un breve commento al comportamento dei personaggi presenti alla riunione: Mussolini aveva fretta di scatenare la guerra anche se questa avrebbe inizialmente conseguito modesti risultati e il perché deve essere ricercato nella paura che Hitler e Ribbentrop lo fermassero di nuovo come era successo ad agosto. Voleva mettere Hitler di fronte al fatto compiuto ad ogni costo. Visconti Prasca poi perché si rifiutava di ricevere subito dei rinforzi che Badoglio e Roatta indicavano come necessari fin dall’inizio dell’azione? Risposta forse plausibile Visconti Prasca era un generale di corpo d’armata e tra i meno anziani con quel grado e quindi temeva che se avesse richiesto più forze il comando Supremo lo avrebbe sostituito con un generale più alto in grado; infatti dagli studi fatti proprio da lui le divisioni sarebbero state divise in due corpi d’armata uno per l’Epiro ed uno per il Korciano divisi tra di loro dal massiccio montuoso del Pindo. Quindi due corpi d’armata costituivano una armata e un armata deve essere comandata secondo il nostro regolamento militare di guerra da un generale d’armata e dunque Visconti Prasca assumendo il comando di due corpi d’armata cioè di una armata poteva accampare il diritto di essere nominato comandante d’armata; a questo infatti aspirava e per questo non voleva inizialmente troppe divisioni per non essere sostituito subito con un generale a lui superiore.
Roatta si era accorto della scollatura “carrieristica” che si era venuta a formare e aveva proposto nell’imminenza dell’attacco che quel comando avesse un “assetto adeguato” con Ambrosio o Vercellino a capo e Visconti Prasca, Gambara e Francisci al comando di tre corpi d’armata che si sarebbero costituiti con l’afflusso di ulteriori divisioni.
Il 25 ottobre Mussolini scriveva a Visconti Prasca: “Caro Visconti, voi sapete e se non lo sapete ve lo dico adesso, che mi sono opposto a tutti i tentativi fatti per togliervi il comando alla vigilia dell’azione. Credo che gli eventi, ma soprattutto l’opera vostra, mi daranno ragione. Attaccate con la massima decisione e violenza. Il successo dell’azione dipende soprattutto dalla sua rapidità”.
Sul piano politico erano stati mesi a disposizione molti soldi per pagare e “ comprare “ i generali greci; è quanto afferma Badoglio che dice di avere appreso da Ciano poco dopo la riunione di Palazzo Venezia che ” era riuscito ad avere dalla sua diverse notabilità greche, alcune facenti parte dell’attuale governo, per il rovesciamento del governo stesso e per il passaggio della Grecia dalla nostra parte. Soggiungeva che ciò era costato un po’ caro ma che il successo giustificava anche questa spesa”. Badoglio avrebbe confermato anche al Ten. Colonnello Trombetti, estensore del verbale della riunione famosa, che “politicamente tutto è fatto”. Comunque Badoglio ebbe durante la riunione e anche durante i giorni successivi un atteggiamento singolare: approvava ma ostacolava, ostacolava ma approvava. Era cosciente che l’impresa nasceva male ma non era così deciso per opporsi ad essa, e nemmeno arrendevole al punto di accettarla senza riserve.
Vittorio Emanuele III poi era perfettamente cosciente che le nostre forze erano insufficienti per quell’impresa come pure lo sapevano bene Badoglio e i tre capi di Stato Maggiore. Ciano ha annotato in data 17 ottobre: “Viene a vedermi il maresciallo Badoglio e mi parla con grande serietà dell’azione in Grecia. I tre capi di Stato Maggiore si sono unanimemente pronunciati contro. Le forze attuali sarebbero insufficienti e la marina non ritiene di poter eseguire alcuno sbarco a Prevesa perché i fondali sono troppo bassi. Tutto il discorso di Badoglio ha un’intonazione pessimistica: prevede il prolungarsi della guerra, e con esso l’esaurimento delle nostre magre risorse. Ascolto e non discuto. Affermo che sotto l’aspetto politico è il momento buono. La Grecia è isolata. La Turchia non si muoverà. La Jugoslavia nemmeno. I bulgari se entreranno saranno con noi. Militarmente non ho elementi di giudizio. Bisogna che Badoglio quanto ha detto a me, lo dica senza riserve al Duce”.
Purtroppo la verità era questa: l’Italia non avrebbe dovuto partecipare alla guerra. Ci eravamo entrati per avere una fetta della grande torta che la Germania andava conquistando, e da quel momento ogni mossa di Mussolini era stata una semplice improvvisazione o una ripicca; mai il risultato di uno studio approfondito eseguito da esperti. Purtroppo in questa occasione particolare aveva dalla sua parte anche il parere favorevole di un generale, Visconti Prasca, che vedeva tutto semplice e, tutto facile e tutto fattibile.


Bersaglieri della Centauro e Artiglieria Alpina



Il 18 ottobre alle ore 11 Mussolini ricevette Badoglio ma il giuoco ormai era fatto e Badoglio riuscì ad ottenere solo che la dichiarazione di guerra alla Grecia fosse rinviata di due giorni e cioè il 28 anziché il 26. Quella data è ancora oggi celebrata in Grecia a ricordo di una aggressione che si risolse in uno smacco gravissimo per l’Italia e vedremo poi anche per il regime stesso.
Mussolini cercò di trattare anche l’intervento Bulgaro ma quel paese in quel momento era sotto l’influsso dei tedeschi così che Re Boris III consegnò all’inviato di Ciano, Anfuso, una lettera nella quale scriveva “Voi avete indovinato la situazione particolarmente delicata della Bulgaria. A seguito di circostanze sfavorevoli che hanno impedito e ritardato un sufficiente riarmo del suo esercito, e circondata da vicini che voi conoscete, essa è costretta ad agire con molta perspicacia e prudenza, senza peraltro rinunciare ai suoi sacri diritti e alla sua missione storica. Per queste ragioni la Bulgaria è costretta ad astenersi da una azione armata”.
Mussolini aveva ricevuto una risposta negativa e questo gli faceva sentire che il suo peso politico era scarso; se la prese con Boris “Regnanti senza fegato; non riusciranno mai a niente. Faremo senza di lui. La marcia di Visconti Prasca sarà tanto rapida che attirerà verso Atene le forze greche del nord, se pure non si sfasceranno per andare ognuno a casa propria”.
Anche l’avventuroso Visconti Prasca aveva posto qualche limite alle trionfalistiche illusioni di Mussolini e di Ciano; capiva che con le forze disponibili il 28 ottobre sarebbe stata attuata una azione circoscritta, che si sarebbe sviluppata successivamente con l’arrivo di rinforzi.
La Germania venuta a sapere che era imminente una azione italiana contro la Grecia, per bocca del suo ministro degli esteri Ribbentrop propose un incontro tra Hitler e Mussolini da tenersi il 28 ottobre a Firenze. Hitler arrivò il 28 a Firenze per l’incontro ma troppo tardi per fermare Mussolini nella sua insensata azione; l’ultimatum alla Grecia era stato consegnato poche ore prima.

Il 26 il generale Francesco Rossi, inviato ad ispezionare l’Albania aveva visto che le condizioni atmosferiche erano da considerarsi proibitive per una azione militare di quel genere; aveva telegrafato a Roma in questi termini: “Condizioni atmosferiche particolarmente avverse senza previsione prossimo miglioramento. Rifornimenti e movimenti estremamente difficili. Condizioni proibitive per l’aeronautica. Esprimo parere che giorno inizio operazione dovrebbe essere fissato da Comandante superiore sul posto. Maltempo ostacola scarico piroscafi”. Roatta ritrasmise il telegramma a Badoglio che ne parlò a Mussolini; niente da fare il 28 era stato deciso e quel giorno l’offensiva doveva avere inizio. Tanto più che Visconti Prasca aveva confermato che si sarebbe mosso il 28. Il tempo era pessimo ma il morale delle truppe altissimo e questo era sufficiente a Visconti Prasca e ancor di più ad un Mussolini ormai impaziente.
La data fissata per provocare gli incidenti di frontiera originariamente il 24 ottobre, fu rinviata alla sera del 25 ottobre per lo scoppio delle bombe a Porto Edda il finto attacco al posto di frontiera nella zona di Coriza la mattina del 26 e il lancio di manifestini provocatori all’alba del 27. Per quanto riguarda gli incidenti predisposti il piano italiano funzionò alla perfezione; fu sicuramente un eccezione. Fu chiesto conto alla Grecia degli incidenti e la Grecia si dichiarò, come del resto lo era, estranea ai fatti, ma l’Italia inviò un ultimatum alla Grecia e Grazzi lo consegnò al governo Greco mentre quello stesso 27 ottobre Ciano aveva consegnato il testo dell’ultimatum agli ambasciatori spagnolo, giapponese e ungherese nonché all’incaricato d’affari tedesco Bismarck.. Era la guerra!



Un piccolo passo indietro: il 20 ottobre lo Stato Maggiore stilò un documento firmato da Roatta nel quale si riassumevano le linee delle “ Emergenza G”; attacco in Epiro, Difensiva attiva nel Korciano, occupazione di Corfù ad opera delle marina e della divisione Bari, e questo per la prima fase. Nella seconda fase “non appena giunti a piè d’opera i rinforzi sufficienti” avanzata nell’Epiro verso Atene. I rinforzi previsti erano costituiti da entro la fine di ottobre 12 batterie contraeree da 20 mm. Un gruppo contraereo da 75 Skoda su tre batterie, un gruppo contraereo da 75 C.K. su due batterie, due gruppi contraerei da 75/46 su due batterie, 4 gruppi di artiglieria alpina, su tre batterie, un battaglione di carri M13; entro il 15 di novembre la Trieste; più avanti una divisione da montagna. L’alto comando dava a Visconti Prasca più di quanto aveva in precedenza chiesto; ma si atteneva anche alle indicazioni del generale sul fatto che i rinforzi consistenti sarebbero stati necessari per novembre. La campagna cominciava “a carte scoperte”, Papagos sapeva quello che voleva attuare Visconti Prasca e Visconti Prasca sapeva quali erano i propositi di Papagos. Si poneva ora una attenta valutazione delle forze contrapposte e ad una efficace e attenta utilizzazione delle forze stesse. Visconti Prasca aveva un piano di manovra semplice e anche se vogliamo razionale; l’attacco su Salonicco sarebbe stato più razionale ma mal si conciliava con le esigenze di una operazione a breve scadenza utile per soddisfare il capriccio di Mussolini cioè occupare la Ciamuria. Poiché “la zona dell’Epiro si presenta come una ampia sacca a forma triangolare chiusa tra l’allineamento Pindo fiume Arta- mare frontiera albanese; e poiché l’affluenza e la defluenza delle forze greche può avvenire soltanto da due sbocchi: a est il passo Metzovo e da sud Arta - Missolungi” Visconti Prasca mirava a bloccare i due sbocchi e chiudere così la sacca.
Le due branche della tenaglia dovevano essere formate a est dalla divisione Julia, che avrebbe assalito il passo di Metzovo, a ovest dalla divisioni celeri del Raggruppamento del litorale (i due reggimenti di cavalleria e il reggimento Granatieri) che avevano come obiettivo, sfilando lungo la costa, il porto di Prevesa. Il grosso delle truppe costituito dalle divisioni Siena, Ferrara e Centauro, si sarebbe spinta in avanti frontalmente verso il Kalamas, per attaccare la linea di resistenza greca allo snodo di Kalibaki e puntare di li verso Gianina. Il piano teoricamente stava in piedi, ma si reggeva sul presupposto di una scarsa forza dell’avversario e su una sopravalutazione delle proprie forze. Anche Roatta nel suo piano aveva messo in primo luogo come previsione lo sfaldamento greco e aveva scritto che “presentandosi la situazione eccezionalmente favorevole, (grave collasso interno greco e conseguente abolizione di resistenze degne di nota) l’avanzata dall’Epiro su Atene e le operazioni del Korciano potranno iniziare senza attendere i rinforzi per il caso normale previsti


Difficili rifornimenti per le nostre truppe



Il settore Macedone veniva affidato da Visconti Prasca alla divisione Parma. La Arezzo e la Venezia dovevano restare di protezione alla frontiera Jugoslava, la Piemonte di riserva. Il 24 ottobre cioè 4 giorni prima dell’attacco furono costituiti due comandi di Corpo d’Armata; uno affidato al generale Carlo Rossi con le divisioni Ferrara, Siena e Centauro che avrebbe agito in Epiro, l’altro al comando del generale Gabriele Nasci per il settore macedone con le divisioni Parma e Piemonte. La Julia era posizionata nel punto di giunzione tra i due corpi d’Armata ed era comandata direttamente da Visconti Prasca così come la Venezia ed Arezzo. Solo sei divisioni più una di riserva dovevano intraprendere una campagna offensiva su 250 chilometri di fronte. Una campagna decisamente nata all’insegna dell’improvvisazione con i comandi appena creati e senza il necessario affiatamento con le unità, le divisioni non erano complete di mezzi e di quadrupedi, l’autonomia dei reparti era di cinque unità di fuoco (cinque giornate) per i fucili e le armi automatiche, di settanta giornate per gli automezzi e di 40 giornate per le rimanenti dotazioni. In tutta l’Albania c’erano 140.000 uomini (attenzione non 140.000 combattenti) comprendendo nel numero i carabinieri, la Guardia di finanza, le legioni della milizia e i volontari albanesi; una guerra invernale veniva iniziata senza un adeguato equipaggiamento da montagna. Resosi tardivamente conto della fragilità del nostro schieramento il Comando Supremo dispose subito che una delle unità poste sulla frontiera Jugoslava, la Venezia fosse inviata di riserva al settore macedone. La Venezia raggiunse il fronte il giorno 30 e fu subito impegnata in violenti combattimenti. Il mare in tempesta ostacolava l’invio di rinforzi, ma Mussolini fu irremovibile sulla data del 28 ottobre perché temeva che Hitler, che si apprestava ad incontrare a Firenze, ponesse un veto o trovasse una scusa per bloccare l’attacco alla Grecia. Infatti va detto per chiarezza che anche se il comunicato finale dei colloqui fu quello di una perfetta identità di vedute tra i due dittatori, per quanto riguardava la Grecia i punti di accordo erano ben pochi dimostrato anche dal fatto che per il momento Berlino non ruppe le relazioni diplomatiche con Atene. Hitler si doveva rassegnare al fatto compiuto ma non aveva cambiato la sua idea. In cuor suo non perdonò mai all’Italia una avventura che considerava destinata, per le caratteristiche del terreno e la stagione scelta, ad un sicuro insuccesso sotto il profilo militare e tale da creare all’Asse gravi complicazioni politiche, anche se il suo rancore più che sul Duce si appuntò su Ciano da lui considerato il vero responsabile dell’attacco alla Grecia e su “quel mondo fossile, quella mafia aristocratica composta di cretini“ che erano i capi militari dei quali Mussolini doveva servirsi.


Artiglieria Greca



Ricostruire l’entità delle forze italiane e greche che iniziarono a scontrarsi all’alba del 28 ottobre 1940 è uno dei problemi più difficili da risolvere per una attenta ricostruzione della campagna. Entrambi i generali, Visconti Prasca e Papagos hanno avuto interesse l’uno a gonfiare le forze italiane e a sminuire le forze greche. Visconti Prasca per ridurre le sue responsabilità e rendere meno evidente l’estrema leggerezza con cui aveva iniziato l’offensiva che non aveva nessuna possibilità di riuscita. Papagos per rendere ancora più elevati i suoi meriti di comandante e valorizzare l’eroismo del soldato greco. Questi punti di vista portarono ad un solo risultato: quello di far ricadere la colpa non sui capi politici e militari ma sul soldato italiano, che nonostante tutto si batté bene e in qualche maniera rimediò nel modo migliore che era possibile agli errori di chi era a Roma o a Tirana.
Le forze che avrebbero attaccato in Epiro erano costituite da 55.000 uomini, 163 carri armati, 268 pezzi di artiglieria, 16 pezzi controcarro da 47/32, 32 cannoncini antiaerei da 20mm. Nella zona di Coriza la Parma aveva 12.000 uomini, 60 pezzi d’artiglieria campale, 4 pezzi controcarro e 8 contraerei. La Piemonte e la Venezia avevano rispettivamente 9300 uomini, 32 pezzi di artiglieria, 4 controcarro e 8 contraerei da 20mm., la Venezia 10.000 uomini con 5 gruppi di artiglieria. La Arezzo orientata verso la Jugoslavia aveva 12.000 uomini e 3 gruppi di artiglieria con 32 pezzi. I greci avevano in Epiro l’8° divisione rinforzata da una brigata di fanteria e di artiglieria, 3 battaglioni nella zona del Pindo la 9° divisione e la IV brigata tra il monte Grammos e il lago di Prespa; in seconda schiera erano pronti 7 battaglioni di fanteria.



Nei primi giorni della campagna il vero nemico dei reparti italiani fu il maltempo. I greci sembravano sfiduciati, rassegnati. Il fronte si era mosso dal massiccio del monte Grammos fino al mare già nella notte, mentre ad Atene contemporaneamente Grazzi consegnava a Metaxas l’ultimatum. I greci dichiararono che il confine fu oltrepassato dalle nostre truppe alle 5,30 cioè mezzora prima sulla scadenza di tre ore concessa al governo di Atene.
Nel buio della notte le colonne italiane si misero in marcia sotto una pioggia sferzante e ogni passo diventava una sofferenza. Le colonne di testa chiamate con il nome dell’ufficiale che le comandava si inoltrarono in territorio greco dove trovavano posti di polizia abbandonati e dovunque segni di una repentina fuga; ogni tanto qualche breve rumore di fucileria in lontananza che si spegneva quasi subito. L’avanzata era lenta ma regolare. Nello stesso momento a Firenze si svolgevano i colloqui tra Mussolini e Ciano con Hitler; il Duce attendeva impaziente le prime notizie dal fronte greco ma queste iniziarono ad arrivare solo nel pomeriggio e la prima notizia fu che “l’aviazione non ha potuto svolgere interamente l’attività prefissa a causa delle avverse condizioni atmosferiche” e che Visconti Prasca aveva telegrafato che “Nostre truppe procedono con molto entusiasmo oltre frontiera con artiglierie spinte in testa. Causa intemperie aviazione non est intervenuta”.Sul Pindo operava la Julia nel punto di congiunzione tra le truppe impegnate nell’offensiva verso l’Epiro e quelle destinate alla difensiva nella Macedonia occidentale.
Davanti alla Julia che disponeva solo di 5 giornate di viveri a secco e di 4 di mangime per i muli c’era lo Smolika uno dei massicci della catena del Pindo alto 2600 metri. Il massiccio doveva essere aggirato da due reggimenti per puntare poi su Metzovo. A nord est c’era l’8° alpini del colonnello Dapino con il gruppo di artiglieria Conegliano e reparti albanesi a sostegno; a sud ovest il 9° alpini del colonnello Tavoni con il gruppo artiglieria Udine e reparti albanesi di rinforzo. Il 9° procedeva su una stradaccia melmosa e fangosa che rendeva lento il cammino ma poteva avanzare, l’8° si doveva aprire la strada fra viottoli e boschi e i greci fuggivano senza accettare il contatto. Le colonne degli alpini erano 5 cioè da nord a sud si muovevano i battaglioni Tolmezzo, Gemona, Cividale, Vicenza e Aquila; la giornata del 28 non ebbe storia e il bollettino n° 144 del giorno seguente rispecchiava la situazione effettiva: “All’alba di ieri le nostre truppe dislocate in Albania hanno varcato la frontiera greca e sono penetrate per vari punti nel territorio nemico. La nostra aviazione nonostante le avverse condizioni atmosferiche ha bombardato ripetutamente gli obiettivi militari assegnati, colpendo bacini, banchine, scali ferroviari e provocando incendi nel porto di Patrasso, gli impianti lungo il canale di Corinto e nella base navale di Prevesa e gli impianti aeroportuali della base di Tatoi presso Atene. Tutti i nostri velivoli sono rientrati”.
Il 29 si profilarono alcuni contrattempi ma fu solo una avvisaglia di quello che di li a poco sarebbe successo. Il maltempo imperversava mentre alcuni reparti della Siena e del raggruppamento del litorale raggiunsero il Kalamas gonfio dalle piogge le cui acque trascinavano a valle i resti dei ponti che i greci avevano fatto saltare; il fiume era per larga parte del suo corso privo di guadi praticabili e la nostra attrezzatura per gettare ponti e passerelle era modesta e del tutto inutile per una campagna invernale con i fiumi in piena per le piogge. La Siena occupava il villaggio di Filiates mentre la Centauro era impantanata alle spalle della Ferrara. Al battaglione Tolmezzo che era esposto ad eventuali attacchi da nord, fu dato l’ordine di mettersi a difesa sul Furka mentre il grosso della Julia raggiungeva Samarina e Konitza e riceveva l’ordine di raggrupparsi: gli alpini avevano capito che non si trattava di una passeggiata come i comandi l’avevano descritta, ma di ben altra cosa.
Raccogliendosi la divisione lasciava il vuoto alle spalle mentre Dapino e Tavoni continuavano ad avanzare, il battaglione Aquila si trovava di fronte la Vojussa colma di acqua per le incessanti piogge proprio nel punto in cui la Julia confinava con la Ferrara. Ci si accorgeva finalmente quanto fossero esigue le forze di una divisione per intraprendere una manovra a tenaglia che doveva aggirare una montagna così grande, e contemporaneamente occupare territorio nemico e salvaguardarsi i fianchi esposti, le spalle e le linee di comunicazione. L’aviazione era impossibilitata ad intervenire per le condizioni atmosferiche e l’artiglieria che secondo Visconti Prasca doveva essere in testa non riusciva neppure a seguire la lenta marcia dei soldati sui quali ricadeva ora tutto il peso dell’azione.
I greci preoccupati del cuneo profondo che la Julia si era aperto, cercavano di tamponare la situazione; infatti più gli italiani si avvicinavano alla prima linea di difesa greca e più la resistenza si faceva evidente. Al 31 ottobre erano caduti 5 ufficiali e 30 uomini di truppa; ma si trattava ancora di scontri sporadici. Le poche ore di riposo venivano trascorse sotto ripari improvvisati e i rifornimenti erano diventati irregolari. Il 31 ottobre una colonna della Ferrara fu sorpresa dal fuoco di pezzi d’artiglieria ben mimetizzati.
Mussolini a questo punto scrisse a Visconti Prasca in questi termini: “Caro Visconti, sono contento dello svolgimento delle operazioni in questa prima fase. Il generale Ranza mi ha detto a voce altre soddisfacenti impressioni. Allo scopo di rafforzare il vostro dispositivo, la Bari, che doveva occupare Corfù, sbarcherà invece a Valona domani primo novembre. Dato l’atteggiamento di Belgrado voi potete spostare verso sud o nel settore di Coriza la Venezia. Intanto ho mandato immediatamente a Roma il generale Soddu per accelerare l’invio delle divisioni di cui alla richiesta del 16 ottobre, e di tutti gli autocarri. Sono convinto che continuerete ad imprimere al complesso delle operazioni quel ritmo veloce che gli eventi, più che la dottrina, impongono perentoriamente”. In quel periodo Mussolini era a Grottaglie ma non è chiaro se per prepararsi ad una ispezione delle truppe vittoriose, o per seguire più da vicino le operazioni militari come faceva Hitler che si portava in luoghi posizionati nella zona del fronte che in quel momento era interessato più direttamente dagli scontri.Il Duce va detto non amava essere contraddetto, ma aveva talvolta un istinto animalesco per captare le situazioni e in questo caso sentiva odore di bruciato per cui incaricò il generale Pricolo di recapitare la lettera sopra citata direttamente a Visconti Prasca. Ha scritto Roatta che la Bari “si trovò subito nelle più gravi difficoltà perché, dato il suo compito primitivo, mancava di mezzi di trasporto e aveva solo pochissima artiglieria”. Va aggiunto che per fortuna anche quei battaglioni della Bari furono preziosi per tamponare le falle che si aprirono nel fronte italiano di li a pochi giorni.


Un Fiat G50 impegnato in Grecia



In data primo novembre nel diario del generale Armellini troviamo la frase “Babilonia completa”. Il tempo si rasserenò e Ciano ordinò un “bombardamento coi fiocchi” su Salonicco; doveva essere il segno buono per la continuazione dell’offensiva con un tempo migliore ma non fu così. Essa coincise con lo scatenarsi della offensiva greca in Macedonia occidentale. Papagos con questo attacco si proponeva due obiettivi; il primo più immediato di raggiungere la linea del Devoli e poi conquistare il Morova. I Greci scattarono alle ore 8 del 1° novembre per raggiungere gli obiettivi fissati perché dietro a questi si apriva la piana di Coriza e se fossero riusciti a dilagarvi tutto lo schieramento italiano dell’Epiro sarebbe stato minacciato di aggiramento. La Parma era schierata su un fronte troppo grande per lei ma le si stavano affiancando la Piemonte, che era posta in riserva e la Venezia che aveva lasciato la frontiera Jugoslava


Gruppo Galbiati della Milizia



Continueremo parlando nel prossimo capitolo delle operazioni che videro gli italiani in gravissime difficoltà.

MARIO RAGIONIERI

Ricordo ai lettori le mie pubblicazioni di storia del periodo 1918/1946 che si trovano in vendita nelle librerie:

-- 8 settembre 1943 fine di un sogno di gloria. Editori dell'Acero, 2001

-- Dalla democrazia al regime 1919-1929 i primi anni del fascismo. Editori dell'Acero, 2003

-- Hitler e Stalin il tempo dell'amicizia e il tempo della guerra... Editori dell'Acero, 2004

-- Salò e l'Italia nella guerra civile. Edizioni Ibiskos, 2005