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I volontari sovietici nell'Esercito Tedesco durante la 2^ GM - I^ parte
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Written by A.   

Con questo articolo desidero affrontare un argomento poco conosciuto dal grande pubblico, e pressoché ignorato dalla storiografia italiana, se si eccettuano poche e lodevoli eccezioni. E’ stato però sviluppato ed approfondito dalla storiografia anglosassone, che ha quindi colmato una lacuna conoscitiva rilevante sulla Seconda Guerra Mondiale. Per ciò che concerne l’Unione Sovietica, l’argomento è stato totalmente non solo ignorato ma addirittura omesso dalla storiografia ed ovviamente mai menzionato in alcuna occasione; in questo caso posso parlare per esperienza personale, in quanto ancora nel 1998 il cittadino medio sovietico (o per meglio dire “ex sovietico”) era totalmente all’oscuro del fatto che suoi compatrioti avessero combattuto dal lato del nemico in quella che loro chiamano Grande Guerra Patriottica (e solo stando lì e confrontandosi con la loro memoria storica possiamo comprendere l’impatto storico ed emotivo di quella guerra sul popolo russo soprattutto. Difatti, quando tendenziose e parziali nonché abborracciate rievocazioni giornalistiche mirano ad esaltare il ruolo del fronte occidentale nella sconfitta dell’Asse, quasi rimuovendo il decisivo e tragico fronte orientale, non posso fare a meno di indignarmi). Infatti, quando a mia moglie, di origine ex sovietica, ho parlato dell’argomento, si è rifiutata di crederci finché non ha visto i miei libri sull’argomento, con tanto di inoppugnabili fotografie ed altrettanto inoppugnabili riproduzioni di documenti ufficiali; la stessa incredulità da parte di parenti ed amici, mentre nessuno ha avuto il coraggio di parlarne con sua nonna, veterana della Grande Guerra Patriottica e decorata. Unica eccezione, i Baltici e gli Ucraini Occidentali, vedremo poi il perché.

Per comprendere il fenomeno, innanzitutto i numeri. Non vi sono dati precisi all’unità, ma è stato calcolato in modo attendibile che almeno un milione di cittadini dell’URSS abbiano combattuto con le armate tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale.

Altrettanto importanti sono le motivazioni. I volontari non erano soltanto prigionieri desiderosi di sfuggire alle durissime condizioni di prigionia, ricordo infatti che per i prigionieri sovietici, a causa dei notori (dall’inglese notorious) teoremi razziali sull’inferiorità dei popoli slavi, l’applicazione della Convenzione di Ginevra era fuori questione, e quindi la mortalità nei campi di prigionia era altissima (come spiega Alan Clark nel suo bellissimo libro “Barbarossa”). Né vi erano solo opportunisti in cerca di potere e vantaggi personali, ma vi era anche, per alcuni, una adesione di tipo politico.

Infatti, il regime sovietico non aveva certo l’adesione di massa della popolazione. Lituani, Lettoni ed Estoni erano stati indipendenti dal 1918 al 1939 (la Lituania di allora aveva confini diversi da quella attuale, in quanto una parte, comprendente Vilnius, apparteneva alla Polonia così come parte della Bielorussia occidentale e come vedremo la Galizia Orientale), ed avevano conosciuto un periodo di esperienza democratica, fino all’occupazione sovietica seguita al patto Ribbentrop-Molotov. Deportazioni e persecuzioni avevano fatto sì che, al di là di una quota di cittadini di fede comunista ed ai “coloni” soprattutto Russi subito inviati nei territori neoacquisiti dall’URSS, gli altri fossero pronti ad accogliere i tedeschi come liberatori.

Volontari bielorussi della ROA

Allo stesso modo anche in Ucraina vi era un importante movimento indipendentista (che sarà attivo anche con episodi d’armi, fino agli anni ’50), nonché vi era una parte del territorio, l’Ucraina Occidentale (quella con città principale Leopoli, in ucraino Lviv, in russo Lvov, in polacco Lwow ed in tedesco Lemberg), che non aveva mai avuto a che fare né con l’URSS né precedentemente con l’Impero zarista, in quanto appartenente fino al 1918 all’Impero Austro-Ungarico (denominata Galizia Orientale), e successivamente incorporata nella neonata repubblica di Polonia. La Galizia Orientale aveva una popolazione mista, polacca e cattolica di rito romano, ucraina e quasi tutta cattolica di rito greco-cattolico, i famosi “uniati” ( a differenza dell’Ucraina Orientale, quella con città principale Kiev per intenderci, culla della civiltà russa, di religione ortodossa, da sempre appartenuta all’Impero zarista e “normalizzata” con il terrore e le carestie da Stalin), ed ebraica ashkenazita parlante yiddish (quest’ultima, culturalmente e tradizionalmente vivace, purtroppo in gran parte spazzata via dalla follia della soluzione finale), più varie minoranze (Leopoli è sede anche di un Patriarca Cattolico Armeno), e Leopoli era storicamente la sede della nobiltà polacca asburgica, da cui provenivano personalità come Goluchowski e Badeni, nobili polacchi ed importanti ministri nei governi imperialregi di Francesco Giuseppe. In realtà quindi, come abbiamo visto, i volontari ucraini occidentali si possono considerare facenti parte della categoria formale dei volontari sovietici solo “ex post”, a differenza degli altri che lo erano anche “ex ante”. Appartenenti a questa categoria “ex post” si possono considerare i cittadini di altri due territori appartenenti all’Impero Austro-Ungarico fino al 1918 ed ora compresi nell’Ucraina Occidentale, gli abitanti della Rutenia Subcarpatica (inclusa nella parte “ungherese” o transleitanica dell’Impero, dopo il 1918 incorporata nella neonata Cecoslovacchia, poi, nel 1938, dopo l’invasione di quest’ultima, “confiscata” dall’Ungheria) e della Bucovina (inclusa invece nella parte “austriaca” o cisleitanica dell’Impero, dopo il 1918 incorporata nella Romania, poi occupata dall’URSS nel 1939 poi ridata alla Romania).

Inoltre vi erano, in quasi tutti i territori, i cosiddetti volksdeutschen, come quelli del Volga, discendenti dei contadini tedeschi “importati” da Caterina la Grande per colonizzare e coltivare l’immenso territorio russo. Ve ne erano nel Baltico (d’altronde, parte della grande nobiltà zarista era volksdeutsch), in tutta l’Ucraina, in Bucovina, in Rutenia Subcarpatica, e persino in Asia Centrale, ove vivevano i prigionieri tedeschi ed austroungarici che erano lì in prigionia durante la Grande Guerra e che vi erano rimasti con i loro nuovi nuclei familiari. Non tutti i volksdeutschen combatteranno con l’esercito tedesco; quelli di robusta fede comunista combatteranno lealmente con l’Armata Rossa, mentre altri verranno “precauzionalmente trasferiti” in Asia Centrale, dove ancora oggi i loro discendenti vivono (il 5% della popolazione attuale del Kazakistan è composta da tedescofoni, addirittura un alto dirigente statale ha un cognome preceduto da un altisonante “von”; ve ne sono anche in Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan); da notare che anche oggi l’area del Volga attorno a Saratov ha molti abitanti tedescofoni; addirittura il capo della polizia di Saratov di pochi anni fa (e magari ancora in carica) era un colonnello che si chiamava Ernst Huber.

Aggiungiamo poi che la guerra civile successiva alla Rivoluzione d’Ottobre aveva visto un paese diviso, in cui i bolscevichi erano minoranza resa vittoriosa dalla politica dissennata dei generali “bianchi”, il cui progetto politico profondamente reazionario era un ritorno come minimo allo status quo ante, se non ancora in visione più restrittiva. E’ chiaro che quindi molti simpatizzanti di parte bianca o di almeno neutrali nei confronti del bolscevismo vi erano, soprattutto tra le minoranze nazionali ed etniche e nelle campagne, ed erano sopravvissuti alla “normalizzazione” staliniana, che anzi con la sua durezza ne aveva ancora di più esacerbato gli animi; del resto è noto che i tedeschi, all’inizio dell’invasione dell’URSS, in Ucraina erano stati accolti dalla popolazione come liberatori, con spesso nei villaggi la tradizionale donazione di pane e sale. Così come vi erano dei gruppi che ancora sentivano una sorta di legame di lealtà personale verso gli Zar, come i Cosacchi, od i cosiddetti emigrées, ovvero i sostenitori più o meno aristocratici della famiglia imperiale che erano emigrati nei paesi occidentali, soprattutto in Francia, dopo la Rivoluzione.

Le modalità di utilizzo di questa “manodopera militare” sono state varie, e durante la guerra hanno avuto significative modificazioni.

All’inizio i volontari, principalmente ex prigionieri, venivano utilizzati come “Hiwis”, ovvero come ausiliari nei reparti logistici e di rifornimento delle unità combattenti, spesso indossando ancora l’uniforme dell’Armata Rossa con un bracciale con la scritta “in servizio con l’esercito tedesco”, la cui abbreviazione della versione in tedesco ha generato la sigla “Hiwis”. Prima non combattenti, man mano questi volontari, a seguito delle evenienze belliche, finivano per partecipare attivamente ai combattimenti. Resteranno comunque molti ancora in servizio come “Hiwis” fino alla fine della guerra nelle unità logistiche e nel treno di varie divisioni, come per esempio ve ne erano sorprendentemente molti nella celeberrima 12^ divisione corazzata Waffen-SS “Hitlerjugend”.

 

 

In seguito sono stati creati veri e propri reparti combattenti, in cui gli ufficiali superiori, parte degli ufficiali subalterni e molti sottufficiali, vale a dire gran parte dei quadri, erano tedeschi o volksdeutschen, mentre alcuni ufficiali subalterni e sottufficiali e la truppa erano sovietici.

L’elencazione dei singoli reparti, che poi variavano di nome, numerazione eccetera si può trasformare in uno stucchevole rompicapo per il lettore, cerco quindi, scusandomi con chi legge per i “salti” da un argomento all’altro, di spiegare il fenomeno utilizzando due chiavi diverse talvolta contemporaneamente, quella della nazionalità e quella del tipo di reparto. Di sicuro tralascerò qualcosa, vista la vastità e la complessità dell’argomento, ma preferisco semplificare per poter identificare con facilità il fenomeno e renderne comprensibili i termini piuttosto che indulgere in una mera esposizione di dati che ne farebbe perdere di vista invece la valenza concettuale.

Infatti, oltre a classici battaglioni di fanteria ed altre armi, ed ai battaglioni costruzioni (paragonabili direi al Royal Pioneer Corps britannico), i volontari sovietici militavano in reparti ben precisi.

In primo luogo i volontari “europei” come i Baltici, i Bielorussi, gli Ucraini ed i Russi (ma questi ultimi in misura molto inferiore) erano affluiti in battaglioni di polizia, sia tradizionali che ausiliari (i vari corpi di difesa nazionali ed i celebri “Schuma”, abbreviazione del tedesco “Schutzmannschaft” aventi divise diverse da quelle dei battaglioni di polizia germanici). Nei battaglioni di polizia vi erano anche parecchi volksdeutschen (ad esempio Pier Arrigo Carnier, nel suo libro sui Cosacchi in Carnia, accenna ad un battaglione di polizia di volksdeutschen russi che stazionava a Marano Vicentino), mentre i numerosissimi battaglioni ausiliari, gli “Schuma” erano contrassegnati con un numero erano divisi per nazionalità, ed erano quindi Lettoni, o Lituani, od Estoni, o Bielorussi od Ucraini.

Poi vi erano i reparti cosiddetti “nazionali”, e qui le cose si complicano un po’.
Cominciamo con le cosiddette “legioni nazionali”. I volontari sovietici non strettamente “europei”, erano stati raggruppati in queste legioni (il termine usato era “Legionen”). Esistevano quindi le varie legioni degli Armeni, dei Georgiani, degli Azeri, dei Tartari di Crimea, dei Tartari del Volga, dei Tartari degli Urali, dei Nordcaucasici (Ceceni, Ingusci, Circassi, Daghestani, Calmucchi, Kabardino-Balkari eccetera) e del Turkestan (composta da Kazaki, Uzbeki, Kirghisi, Turkmeni e Tagiki; la loro inclusione in una unica legione “turcomanna”, ancorchè i Tagiki siano in realtà iranici e non turcomanni, si riallacciava al periodo zarista, in cui l’Asia Centrale era un unicum chiamato Turkestan, e non era ancora stata divisa da Stalin in cinque repubbliche con confini tracciati in modo del tutto arbitrario con conseguenze problematiche ancora oggi tangibili). Diversi di questi volontari, proveniendo da zone montagnose, facevano parte anche di formazioni di fanteria da montagna. Le “legioni” verranno poi fatte e disfatte, e questi volontari, alla fine della guerra, erano parte dei battaglioni “Ost” (Est in tedesco), contrassegnati dal termine “Ost Bataillon” più un numero, divisi sempre per nazionalità, battaglioni di fanteria che agivano specialmente in Francia (ed anche in Italia) come truppe di guarnigione (come l’823°, composto da Georgiani, nelle isole di Jersey e Guernsey e comandato da un maggiore tedesco) o come parte integrante dei reggimenti di fanteria delle divisioni “statiche” della Wehrmacht, quelle caratterizzate, per intenderci, dal numero di serie “700”, come quelle dislocate in Normandia affrontate dagli Alleati nel D-Day (la 709^ e la 716^; a Sainte-Mère-Eglise i paracadutisti americani si sono trovati ad affrontare anche dei Georgiani, ma nel mitico film “Il giorno più lungo” il particolare era stato omesso). A proposito dei battaglioni “Ost”, questi non erano solo formati da asiatici e caucasici, ma anche da sovietici “europei” come Bielorussi, Russi ed Ucraini. Molti di questi reparti potevano avere le giuste motivazioni per combattere sul fronte orientale, ma verranno invece impiegati come abbiamo visto all’Ovest, dove non si distingueranno per virtù combattive.

Per quanto riguarda la combattività, una notevole eccezione era la 162^ divisione di fanteria dell’esercito tedesco. Comandata da Oskar von Niedermayer, che era un tedesco convertito all’Islam e che prima della guerra era direttore dell’Istituto di Studi Strategici di Berlino, era composta quasi interamente da soldati del Turkestan (con anche una minoranza di Azeri); ha combattuto con durezza prima nella asperrima lotta antipartigiana in Yugoslavia, poi in Italia, ed ancora adesso le persone anziane che vivono sull’Appennino e le colline emiliane e piacentine se li ricordano come “i mongoli”.

I Russi invece avevano dato vita ad una organizzazione chiamata ROA (Russkaia Osvoboditelnaia Armiia, in italiano Esercito Russo di Liberazione), sotto la guida del generale Andrei Andreievich Vlasov, uno dei migliori generali dell’Armata Rossa che, preso prigioniero, era passato dalla parte dei tedeschi; la ROA aveva creato una scuola di propaganda ideologica, una scuola per ufficiali, una scuola di fanteria, un corpo di sanità militare, ed a lei facevano capo tutti i battaglioni “Ost” ed i reparti composti da Russi, ancorché non fosse una organica unità militare. Lo stemma ufficiale era zarista, la croce di Sant’Andrea azzurra su sfondo bianco. Nel 1944 la ROA verrà trasformata in KONR (Komitet Osvobozhdenia Narodov Rossii, in italiano Comitato per la Liberazione dei Popoli della Russia), sempre sotto il comando di Vlasov, che avrebbe dovuto avere, a guerra vittoriosamente terminata, il governo provvisorio di gran parte dell’URSS occupata. Il KONR diventerà anche una organica unità militare, organizzando due divisioni più varie altre unità, reclutate incorporandone vari battaglioni “Ost” composti da Russi più reclutando Russi inviati in Germania al lavoro coatto.

Anche gli Ucraini dell’Ucraina Orientale (quella di Kiev, Poltava, Kharkov eccetera per intenderci), come abbiamo già detto di religione ortodossa, sudditi da secoli degli zar ed abbastanza russificati (oggi molto di più), oltre a fornire i soliti battaglioni di polizia e “Schuma”, avevano creato una loro struttura simile alla ROA, che nasceva idealmente dai movimenti nazionalisti tra le due guerre guidati da Stepan Bandera e Andrei Melnik, denominata UVV (Ukrainske Vyzvolne Vijsko, Esercito Ucraino di Liberazione), che poi, parallelamente alle vicende della ROA divenuta KONR, si trasformerà in UNA (Ukrainska Natsionalna Armiia, Esercito Nazionale Ucraino), in cui confluiranno varie unità ucraine, al comando del generale Pavlo Shandruk, che era un ufficiale dello stato maggiore generale dell’esercito polacco.

Pochi Ruteni, invece, sballottati tra Cecoslovacchia, poi Slovacchia ed Ungheria, combatteranno con i tedeschi; a parte chi individualmente aveva servito in una unità piuttosto che un altra, il reparto che ne includeva un discreto numero e che è interessante segnalare è la celebre divisione “Brandenburg”, in cui costoro erano inquadrati soprattutto, con incarichi di commandos, nella Lehr und Bau Kompanie z.b.v. n. 800” (Compagnia di Addestramento e Costruzione per incarichi speciali n. 800), mentre gli Ucraini della Bucovina, sballottati tra Romania ed URSS poi ancora Romania, si troveranno nei reparti “Schuma” ucraini piuttosto che in una divisione di Waffen-SS di cui parlerò nella seconda parte dell’articolo.

Spero di non avere generato troppa confusione in chi ha letto l’articolo, che è stato necessario dividere in due. Nella seconda parte parlerò dei Cosacchi, dei Baltici, degli Ucraini Occidentali, delle divisioni di Waffen-SS e dei volksdeutschen, dell’epilogo di questa avventura e dei tedeschi che hanno guidato questi uomini.