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I temibili Schiavoni della Serenissima
(6 voti)
Written by Millo Bozzolan   

 

Presentazione

origini e impiego.
Anni fa ebbi occasione di seguire un dibattito su Radio tre, relativo all’esodo dei Dalmati ed Istriani. Una signora piuttosto arrabbiata, malgrado esprimesse il suo pensiero con un inconfondibile accento veneto-triestino, esclamò ad un certo punto: “Quando sento pronunciare la parola “Sciavoni”, provo un irresistibile prurito alle mani!”. Si vantava di essere di ceppo slavo, e secondo lei, i veneti dell’Istria e della Dalmazia, classificavano da secoli con quel termine “spregiativo” l’etnia di lingua slava.
Il termine “Schiavone”, non aveva in sé nulla di dispregiativo, indicando soltanto gli abitanti della S(c)lavonia che, in greco, erano detti “Sclavos”. Tuttavia la Repubblica, già nel seicento, riferendosi alle truppe “levate” in quei territori, principiò a chiamarli “Oltremarini”, aggiungendo ad essi i soldati di origine greca. Restò tuttavia, nel gergo comune, il nome Schiavoni, ne è testimonianza la Riva degli Schiavoni, sede di una loro caserma, a Venezia (oggi sede di un circolo ufficiali dell’esercito italiano).
La nascita di questi reparti  ha origini antiche e evidenzia lo spirito plurinazionale dello stato veneto. Arruolati in Dalmazia, Grecia e sulle coste Albanesi, essi furono usati all’inizio come “fanti da mar” imbarcati sulle navi della Serenissima, pronti all’arrembaggio di altri navigli o come truppe da sbarco (maestro in questo impiego fu Francesco Morosini durante la campagna di Morea), passarono poi al servizio in terraferma, presidiando fortezze e città in tempo di pace o di guerra.
I loro centri di raccolta erano a Zara e Corfù  da dove, una volta addestrati, partivano per mare e arrivavano al forte del Lido. Da qui venivano smistati a Padova se erano destinati all’entroterra, dove alloggiavano al Castello prima di andare a coprire le sedi loro assegnate.
Erano comandati da ufficiali illirici o che comunque, parlavano la loro lingua, poiché i comandi e tutti gli ordini erano impartiti nell’idioma natìo.
La paga era di 31 lire venete, ma di queste la metà era trattenuta per ripagare il colonnello del vestiario e dell’attrezzatura per tener in ordine scarpe e buffetteria. Il resto serviva per vivere: si acquistava il desinare da un “bettolino” (specie di gestore dello spaccio autorizzato dal comando), o gli si affittavano gli attrezzi (pentola mestoli stoviglie) per farsi la minestra (celebre la “ castradina”, diventata piatto tipico veneziano). A differenza della truppa normale, per antica consuetudine di quando erano imbarcati, veniva anche aggiunta alla paga una razione giornaliera di biscotto., al posto del pane.
Era richiesta, per essere arruolati, la statura minima di metri 1,62, di tutto rispetto se si pensa a quella media di allora e un fisico robusto e resistente, oltre a una certa moralità (non aver esercitato mestieri infamanti o illeciti). L’età per arruolarsi era compresa dai 16 ai 40 anni.
All’arrivo di Napoleone, malgrado l’ordine impartito loro dal governo Veneto di non reagire alle prepotenze continue dei francesi, essi dettero del filo da torcere al suo esercito di saccheggiatori. Molti di questi i furono passati a fil di spada, specie a Verona dove stanziava il Reggimento Medin, tanto che Napoleone ne chiese prima il disarmo, poi lo spostamento.

 Conosciuto ai cultori di storia veneta è questo episodio: durante quel triste periodo uno Schiavone girava per Verona  vestito della sola camicia. A chi gli chiedeva il motivo di simile abbigliamento egli rispondeva: “Fino a quando mio Principe non me ridarà mia spada, io non voglio sua divisa”. L’amore per il vessillo marciano, e il loro spirito di corpo era fortissimo (tra loro infatti si chiamavano “brate”che vuol dire fratello), come la loro ferocia in battaglia. Non si distinguevano però, data la loro baldanza, per la disciplina. E mentre il Savio alla scrittura (Ministro della guerra)  nel ‘700 emanava un’ordinanza per la fanteria normale con la quale si stabiliva la forma dei “boccoli” dei capelli e quante libbre di cipria dovessero essere  assegnate per ogni fante (come era del resto in uso allora), loro tenevano i capelli lunghi e incolti, per incutere maggior timore, e per rendere ancora  più truce il loro aspetto si facevano crescere dei gran mustacchi.

     

Divisa, evoluzione

Qualche cenno sull’evoluzione della loro divisa, sempre molto sgargiante e ricca di ornamenti: già nel 1600 il governo veneto adottò per loro il color rosso (tipico dei soldati croati), con mostre color blu.
Sul capo avevano all’epoca un “berreton” di pelo, adorno a volte sul davanti (per gli albanesi). di una placca d’ottone con il simbolo nazionale (un’aquila). Una sacca molto rudimentale in pelle naturale e un fucile di foggia balcanica completava l’uniforme. Al fianco l’immancabile “schiavona”, celeberrima spada con la gabbia a protezione della mano.
Sul finire del 700 essi avevano in dotazione due divise, una giornaliera “di piccola montura” e una invece per le sfilate o per la guardia d’onore, di “alta montura”. Era rimasto invariato il gusto per gli alamari e gli ornamenti che li rendevano molto eleganti ma, nello stesso tempo, si era alla ricerca di una maggiore funzionalità.

Nelle carte Bubich, all’archivio di stato di Venezia, ne troviamo una dettagliata descrizione e inoltre alla scuola dei Dalmati (ex chiesa di San Giorgio), vi è un bel dipinto che riproduce abbastanza fedelmente le due divise.

divisa di alta montura alla fine del 700

Il “berreton” si era trasformato e la fascia in pelliccia era stata sostituita da una di cuoio nero, sopra cui gli albanesi ponevano l’aquila nazionale in ottone. Questa fascia avvolgeva il berretto, in panno rosso cremisi o nero (adozione recente), cadente sul lato destro della testa. Un fiocco giallo o rosso ne completava gli ornamenti, assieme ad una bavetta rossa sul bordo superiore della fascia. Non vi è più la presenza della penna d’aquila come in origine si portava obliqua sulla sinistra.
La “velada”, cioè la marsina, è di color cremisi, non è a due code come nella fanteria, ma resta aperta sul dietro da due spacchi, in modo da far fuoriuscire comodamente il fodero della spada. Il colletto è di colore blu, come i polsini, che sono di originale forma triangolare, alla maniera nazionale croata.
E’ anche aperta sul davanti, in modo da non abbottonarsi. E’ adorna di sei alamari per parte terminanti in un fiocco da un lato e un bottone d’ottone dall’altro. Sono distribuiti a tre poi due poi uno per parte.
La camiciola o gilet di lana come la marsina è a sette bottoni dorati più piccoli con cordoncini dorati terminanti in fiocchetti dello stesso colore. Non sappiamo se vi fossero taschini.
Al collo essi portavano con entrambe le divise, la “croata” o cravatta, un papillon in seta che dava un tocco molto originale al tutto.
Il pantalone era di lana blu a “calzabraga”, molto aderente e aveva due alamari a forma di ferro di cavallo color oro visibili sulla parte superiore.
Ai piedi fino al 1796 gli Oltremarini indossavano stivaletti di pelle naturale, che assumeva un bel colore marron dorato col tempo.
Una elegante fusciacca (sciarpa) di seta gialla copriva il cinturone, all’uso balcanico, da cui pendeva la schiavona.

Nel 1796 fu abbandonata, almeno nei progetti del Savio alla Scrittura (ministro della Guerra) l’ uniforme su descritta e venne adottata un’ungarina (corta giacchetta con tasche verticali posteriori) anche per l’alta montura. Dagli stivali si passò agli stivaletti aperti sul davanti è un poco più bassi.

  
Oltremarino in alta uniforme

Divisa di piccola montura
Descriviamo anche qui la divisa che indossavano negli ultimi anni di vita della Repubblica. Era di fattura molto elegante, pur essendo usata per i normali servizi di caserma. Il copricapo, almeno nei croati, era un piccolo berretto (cappelletto) composto da una fascia ricamata nera con la cupola rossa, a forma cilindrica, alto pochi centimetri. A sinistra ricadeva un mazzetto di crini neri di cavallo, che copriva l’orecchio.
La velada era sostituita da una “ungarina”, cioè una corta giacchetta alla ungara, di colore blu, adorna di cordoni rossi, terminanti in un semicerchio che contornava il fiocco di lana rosso. Sul davanti in basso due risvolti rossi a triangolo adornavano la giacca in maniera originale.
I polsini, di forma regolare e il colletto erano egualmente rossi. E’ presumibile la presenza di una spallina sola, abbassata sul dietro della schiena, all’uso prussiano, con sopra ricamato il numero del reggimento e della compagnia (fonte Eugenio Barbarich).
Anche in questa montura era prevista una fascia in vita per coprire il cinturone a cui era appesa la spada.
Il gilet era di panno blu con nove bottoni di ottone e cordoni di tessuto giallo (non oro, quindi). I pantaloni blu non avevano gli ornamenti sul davanti. Le calzature erano le stesse.
 
Oltremarino in bassa uniforme

 

Buffetteria e armamento

Nella seconda metà del settecento li vediamo usare (stando a qualche dipinto e statua) un fucile simile al Brown Bess inglese, privo di fascette di metallo. Nel dipinto della Scuola dei Dalmati il soggetto ritratto ne sfoggia uno che sembrerebbe di origine balcanica. E’ comunque certo che non usavano le stesse armi della fanteria di linea e non usavano la baionetta.
Oltre al fucile portavano, come abbiamo scritto prima,  una schiavona, pesante più di unchilogrammo.Celeberrima spada con guardavano chiuso, a gabbia, simile alla glamour scozzese. Gli scozzesi stessi, nel ‘600, ne ordinarono circa 40.000 nel corso di vari anni, e furono tutte prodotte a Belluno (da uno studio di G. Rotasso). La lama era larga e presentava a volte un filo, a volte un filo e mezzo, a volte due. Anche il fodero, come del resto la gabbia del guardamano, assunse varie forme che sarebbe impossibile descrivere; era appesa ad un cinturone di cuoio naturale.
Nel presentare le armi, essi sguainavano sempre la spada, tenendo il fucile a terra, appoggiato sul fianco.
La giberna o “tasco” era anche essa in cuoio naturale, abbastanza capiente da contenere una ventina di cartucce infilate in una scatola di legno forato ed era appesa alla “tracolla” in cuoio dello stesso colore.
Diverso era il discorso per gli ufficiali; pur restando i colori della divisa uguali, ho notato che gli alamari erano delle striscie dorate piatte, non dei cordoni, e la velada presentava, a seconda del grado, diversi ricami. Questo lo si ricava da ritratti di personaggi dell’epoca, che comandavano reggimenti di schiavoni. Anche le spalline erano in questo caso quelle classiche sfrangiate in oro previste per gli ufficiali di gran parte degli eserciti dell’epoca. A volte però ne compariva una sola a sinistra.

Gli ufficiali, dal sergente in su (non è un errore, il sergente era un “basso uffiziale”, mentre “graduati” erano gli alti gradi) usavano il bicorno, con le insegne di grado alla maniera della fanteria di linea (vedi quanto scritto in merito sulla fanteria).

L’invasione francese

Innumerevoli furono gli episodi di resistenza in cui furono volontariamente coinvolti. Vogliamo ricordare, oltre alle Pasque Veronesi, gli scontri di Salò e che essi versarono il proprio sangue per la difesa del Lido, distruggendo all’arrembaggio l’equipaggio francese della nave “Liberateur d’Italie”; furono alla fine tra la folla di rivoltosi veneziani che non si volevano arrendere ai francesi “quel fatidico dì di maggio”.
Onore a loro e onore alla Patria veneta che essi vollero comunque  difendere fino all’ultimo.

Nel 1790 i reggimenti oltremarini erano 10 più varie compagnie sciolte (di cui due del Medin e Matutin, formavano gli effettivi di un altro reggimento), e prendevano il nome del colonnello che li comandavano. In genere un reggimento era formato, da circa 400 effettivi distribuiti i 9 compagnie, ma raramente si riusciva a mantenere tale organico. Essi furono più che raddoppiati negli organici all’arrivo dei venti di guerra del 1796.

I carabinieri.

Erano così denominati gli Oltremarini scelti per il loro valore e ardimento e destinati poi come guardie speciali delle più alte cariche dello stato. Erano famosi per la loro uniforme ancora più pittoresca, caratterizzata da pantaloni “alla turchesca” o alla levantina, molto larghi, a sbuffo, camicie con maniche ampie, e corpetti colorati. Sul cappello cilindrico, portavano piume sgargianti.
Il loro armamento era eterogeneo, e sempre fuori ordinanza: una corta carabina e un paio di pistole, assieme a una scimitarra li rendevano veramente temibili nell’aspetto.
 

 


SCHIAVONA

FONTI:
Carte Bubich archivio di Stato Venezia
Museo dei Dalmati o ex scuola dei Dalmati a Venezia
Francesco Favaloro; Schizzi e disegni dell’esercito veneziano del 700
Eugenio Barbarich, La campagna del 1796 nel Veneto.