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Napoleone - Il genio militare, la strategia, le battaglie - 5^p.
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Scritto da Mario Ragionieri   

In questo capitolo desidero fare alcuni accenni e considerazioni sulle tattiche impiegate dall’ esercito nato dalla Rivoluzione francese, tattiche che già nel 1796 iniziavano ad essere efficaci contro i nemici della Francia; per fare questo esame però devo tornare un attimo indietro al periodo caotico che la Rivoluzione generò e alla guerra che dovette sopportare contro la prima coalizione. In quel momento semplici volontari e armate federate rinforzate da truppe regolari ereditate dall’ “Ancien Règime “ furono costretti ad affrontare la forza degli eserciti delle monarchie europee coalizzatesi tra loro contro gli autori della Rivoluzione per impedire il diffondersi nel resto del continente degli ideali rivoluzionari. Alla evidente e naturale confusione che i primi combattimenti misero in luce, si andò delineando e sviluppando lentamente un sistema di disposizioni tattiche sul campo di battaglia che negli anni successivi sarebbe stato alla base delle imprese militari del “ più grande soldato d’Europa “ e cioè di Napoleone Bonaparte.

Le armate francesi del 1791 avrebbero dovuto attenersi alle norme, alle esercitazioni ed alla disciplina come descritta nel “ Regolamento Tattico” in vigore da quell’anno. Questo regolamento era stato preparato nel decennio precedente alla Rivoluzione e prevedeva l’adozione di tattiche lineari in combinazione con quelle a colonna in base alle necessità delle missioni da compiere, dalla natura del terreno su cui si doveva combattere e delle caratteristiche militari del nemico da combattere. In quel trattato era stabilito che la regola sarebbe stata di predisporre la fanteria in modo da effettuare il fuoco d’insieme su tre righe, ma si consigliava anche l’uso della formazione a colonna per l’avvicinamento finale. Tutte queste evoluzioni però risultarono non fattibili per le inesperte armate repubblicane. Anche se furono provate in combattimento esse creavano la confusione più completa a cui seguiva in genere la fuga in massa di sbandati che correvano all’impazzata per portarsi fuori dalla portata delle cannonate del nemico di turno. Le prime armate rivoluzionarie non possedevano né la disciplina né l’addestramento necessario per fare a 70 metri dal nemico le evoluzioni tattiche con la precisione richiesta.





Possiamo anche aggiungere che il tanto strombazzato slancio e coraggio delle armate rivoluzionarie risultò essere un’arma a doppio taglio perché potevano portare ad attacchi sconsiderati che presto perdevano forza con gravi perdite senza motivazioni valide, ed anche il coraggio poteva trasformarsi rapidamente in paura e fuga. Nel 1792 a causa dei gravi rovesci subiti, i nuovi comandanti francesi si resero conto di quanto fosse limitata la loro dottrina e decisero di adottare una tattica che potrebbe definirsi “ la tattica dell’orda”; fu alla luce di questo nuovo indirizzo che in battaglia venivano mandati avanti gli uomini e i comandanti più esperti per creare le scaramucce ( tecnica appresa durante la guerra di indipendenza americana) e dietro questo schermo si schierava la massa dei battaglioni di minori capacità belliche che mentalmente si preparavano a combattere o , nel caso, a fuggire. Terminata l’opera dei fucilieri scelti e dei cannoni contro le linee nemiche, se tutto aveva funzionato a dovere, le colonne francesi avrebbero attaccato violentemente con sciabole e baionette al fine di completare l’opera di distruzione del nemico.



Questa combinazione di fucilieri posti in ordine sparso e le cariche ripetute dei battaglioni erano adatte al temperamento e alle caratteristiche delle prime armate rivoluzionarie perché richiedeva una scarsa precisione da parte delle formazioni e sfruttava al massimo la spinta e la voglia di combattere dei cittadini – soldati che spesso riusciva a travolgere le forze nemiche decisamente più addestrate ma meno pronte al sacrificio. Succedeva quindi che le armate nemiche della Francia ispirate ad una tattica rigidamente studiata fossero colte letteralmente di sorpresa e travolte dalla tattica primitiva di questi combattenti rivoluzionari. Più il tempo passava e più le armate francesi acquisirono esperienza e fu così possibile cercare tattiche meno primitive dove il fuoco della fanteria e la sua potenza d’urto erano combinate in proporzioni accuratamente studiate. Infatti l’azione dei fucilieri e quella dei cannoni non sempre erano in grado di provocare gravi perdite al nemico tali da costringerlo a cedere e quindi si pensò che era necessario un volume di fuoco dei moschetti superiore a quello esistente. L’adozione dell’” ordre mixte” fu una soluzione; si trattava di una combinazione tattica di truppe in colonna con altre sistemate in linea.


Massena con i corazzieri



La famosa “amalgame” del 1794 permise questo sviluppo perché il battaglione regolamentare di ogni “ demi-brigade “ era idoneo a muoversi e sparare con buona precisione in formazione di linea, mentre i due battaglioni di “ fèderès “ trovarono un impiego più idoneo disponendosi in colonne lungo i fianchi. In quel periodo ogni battaglione di linea era formato da tre compagnie di circa 330 uomini ciascuna ma il loro numero salì poi a sei con una forza di circa 150-200 uomini ciascuna. I battaglioni di fanteria leggera , previsti per accompagnare la cavalleria al trotto, avevano sei compagnie di cui quattro di cacciatori, una di carabinieri e una di “ voltigeurs” utilizzata per l’attacco iniziale. Per quanto riguarda i soldati che componevano una “ demi- brigade” di fanteria leggera essi erano circa 1000 mentre una di fanteria di linea arrivavano a 2500. La cavalleria in quel periodo non era molto efficiente; una “demi – brigade “ di cavalleria era formata da 4 squadroni ognuno composto da due compagnie di 116 cavalieri, il che voleva dire 900 sciabole per ogni demi- brigade. In pratica , durante il periodo repubblicano, in media in tutto erano dai 200 ai 300 uomini. Esistevano tre tipi di cavalleria: quella pesante per le azioni d’urto; i dragoni addestrati a combattere a cavallo e a piedi per l’appoggio ravvicinato alla fanteria; quella leggera alla quale erano affidati i compiti di ricognizione, di difesa e di inseguimento.


Dragoni francesi



Ed ora l’artiglieria che aveva sofferto meno di tutte le altre armi della la mancanza di ufficiali perché molti dei comandanti venivano dalle classi medie e non nobili. Le armi in possesso dell’artiglieria erano , grazie a Gribeauval e dopo a Carnot, le migliori in Europa con una efficienza sempre elevata. I cannoni erano riuniti in batterie di 8 pezzi divisi in coppie; durante il periodo rivoluzionario il numero delle batterie ippotrainate venne aumentato e nacque l’ “ Artillerie volante “ o artiglieria celere che venne aggiunta all’artiglieria campale e a quella ippotrainata. La specialità del Genio era molto sviluppata durante la Repubblica come del resto lo era sotto l’ “Ancien Regime” ; i genieri francesi erano idonei sia alla costruzione delle strade che a quella dei ponti. Con l’espansione delle forze nel periodo repubblicano i genieri esperti vennero a mancare rispetto alle necessità; ne sapeva qualcosa Bonaparte che nell’Armata d’Italia al posto dei 3300 previsti in organico disponeva solo di 2000 genieri. In pratica dunque Bonaparte aveva ereditato , diventando generale, una terribile arma adatta per lo svolgimento dei suoi piani; un esercito in piena evoluzione ma pronto al combattimento, si trattava solo adesso di dargli un capo vero e lui sarà il vero capo artefice di quello che diventerà il più potente e temuto esercito d’Europa: la “Grande Armèe “



cannone e affusto da 12 libbre



E torniamo dopo questa premessa alla campagna d’Italia dove gli insegnamenti ed il significato militare che si possono trarre sono importantissimi per comprendere lo sviluppo della carriera militare di Napoleone. Stava sperimentando le idee che aveva formulato negli anni di studio, sul modo di manovrare le armate sul campo pur non avendo esperienze importanti alle spalle ( Tolone e la campagna del 1794). La sua inventiva e la sua capacità di razionalizzare le cose furono sufficienti per rimediare a questa mancanza di esperienza anche se, bisogna dirlo, il giovane Napoleone commise anche degli errori in questa sua veste di comandante autonomo ma non furono così gravi da comprometterne la carriera. In primo luogo due furono le circostanze fortunate che ebbe nell’assumere il comando dell’Armata d’Italia in quanto trovò una armata buona, nonostante le gravi deficienze di viveri ed equipaggiamenti che aveva; inoltre i comandanti di divisione che erano in forza nell’Armata avevano una grande esperienza, parlo di Sèrurier, Massena, Augereau e questo fu molto importante per lui. In secondo luogo ebbe la fortuna di trovarsi di fronte all’inizio della campagna uomini come Beaulieu , Colli ed D’Argentau che erano generali di modeste qualità anche se in seguito si trovò a dover combattere comandanti austriaci ben più abili come Wurmser e d’Alvinczy. Il risultato fu che il giovane Bonaparte riuscì abilmente ad approfittare dei gravissimi errori che commisero i comandanti austriaci durante la campagna d’Italia. Indubbiamente Napoleone in varie fasi della campagna non rispettò i “ principi classici della guerra” per cui certe manovre erano decisamente fuori dai canoni, ma stava imparando ad essere un condottiero; i suoi nemici se pur con un bagaglio di esperienze assai superiore, commisero una serie di errori così gravi per i quali è difficile dare una spiegazione razionale se non quella che si attennero a principi tattici ormai decisamente superati. Quando si inizia una campagna militare si devono aver ben chiari e definiti gli scopi delle operazioni e i traguardi che si vogliono raggiungere. Eppure nei nove mesi della campagna si possono trovare vari casi nei quali Bonaparte non si attenne al suo iniziale concetto di un unico obiettivo da perseguire. In anni successivi Napoleone fu sempre molto chiaro nel ribadire che lo scopo principale di qualsiasi guerra è quello di annientare le forze del nemico in campo e di conseguenza la sua volontà di continuare a resistere. Nella prima campagna non riuscì a distruggere nessuna armata nemica nonostante avesse vinto oltre 10 battaglie tra grandi e piccole ma la colpa non era interamente sua; il Direttorio non gli mandò i rinforzi sufficienti che invece arrivarono solo nella primavera del 1797 e questo obbligò Bonaparte a rimanere sulla difensiva e ricorrere ad espedienti per far fronte agli attacchi austriaci. Si può invece criticare a fondo due cose nella condotta di Napoleone e precisamente la sua ostinazione a voler conquistare Mantova che finì per costringerlo a dividere le forze senza poter scegliere se distruggere il nemico in campo o se costringere la guarnigione della città alla resa con l’assedio. Fu solo dopo la caduta della città nel febbraio del 1797, che l’Armata d’Italia tornò alla strategia che era stata all’origine di quella campagna puntando su Vienna. La pace di Campoformio era solo una tregua nei combattimenti e niente più tanto è vero che nel 1800 si dovette procedere alla riconquista dell’Italia settentrionale.
Dunque pur con qualche critica a Napoleone per aver diviso inutilmente le sue forze, bisogna anche dire che seppe mantenere sempre sotto pressione gli austriaci, non abbandonando neanche per un giorno la sua tattica offensiva nonostante le difficoltà in cui versava l’Armata d’Italia. Sfruttando al massimo la sua posizione centrale continuò ad attaccare , spingere e punzecchiare il suo avversario tanto più forte senza dargli mai respiro fino anche non riuscì a spezzarne la volontà e a fargli abbandonare gli obiettivi prefissati. Guardando la campagna nel suo insieme possiamo dire che ai generali austriaci mancò una mentalità aggressiva anche quando era evidente il vantaggio che avevano acquisito. Napoleone tenne il nemico sempre sotto la minaccia di attacco senza lasciarsi sfuggire le opportunità di farlo realmente anche se questo gli poteva costare perdite non facilmente rimpiazzabili e rendere ancor più grave l’esaurimento fisico dei suoi soldati. Un concetto che Napoleone sostenne sempre con convinzione assoluta fu l’importanza di raggiungere il massimo della concentrazione delle forze nel punto più favorevole sul campo di battaglia. E’ questa una caratteristica che si evidenzia bene nella campagna d’Italia dove Napoleone riuscì sempre ad avere disponibili in campo il maggior numero di uomini possibile. Gli austriaci invece, nella speranza di distogliere i francesi e costringerli a dividere le loro forze dispersero le proprie unità, esponendole al pericolo di essere singolarmente battute, e non ottenendo mai una decisiva superiorità numerica nel punto più importante del campo di battaglia. La grande mobilità dei francesi permise a Bonaparte di confondere gli austriaci troppo lenti nei movimenti e troppo convenzionali nella mentalità; la mobilità e la sorpresa erano i principali fattori che permisero i successi francesi in quanto consentivano di attaccare forze numericamente superiori senza compromettere per questo la vittoria finale. Oltre a quanto abbiamo detto, una cosa rese possibili i successi di Napoleone e cioè un dono ineguagliato che per natura gli permetteva di imporre agli uomini la sua volontà e di renderli così devoti alla sua persona tanto da diventare in moltissimi casi un vero culto e questo gli dava la possibilità di chiedere a loro qualsiasi sacrificio sapendo che sarebbe stato fatto. Napoleone insomma divenne un idolo e creò quei legami personali che avrebbero portato i suoi uomini ad andare incontro ad una morte quasi certa al grido di “ Vive Bonaparte!”. La campagna d’Italia chiude l’era delle guerre limitate tipiche del 18° secolo ed apre quella delle guerre dove l’ideologia inizia a diventare un elemento fondamentale come avvenne nel campo francese dove a guidare queste forze c’è per la prima volta un generale in grado di saper sfruttare in pieno le potenzialità di queste forze; nel marzo del 1796 Napoleone era conosciuto solo in Francia e in un ambiente ristretto di persone ma l’anno successivo il suo nome era diventato famoso in tutta Europa. Eppure anche dopo Leoben pochi furono coloro che videro in quel magro ufficiale dal largo cappello e dalle calzature deformate che veniva per questo soprannominato “ il gatto con gli stivali”, il futuro padrone di quasi tutta l’Europa, colui che fustigò le antiche monarchie; ma i suoi indiscussi successi lo avevano già indicato senza ombra di dubbio, come un abilissimo comandante di uomini e tutti pensavano per lui una carriera militare sensazionale. Solo Moreau poteva eguagliarlo in quel periodo per la stima che godeva tra la gente.




ALCUNI CENNI SULLA STRATEGIA DI NAPOLEONE

Tra i contemporanei di Napoleone solo due uomini riuscirono a comprendere, anche se non completamente, il suo genio militare. Il primo a scrivere qualcosa di serio e approfondito su di lui fu il barone Di Jomini che fece parte del seguito dell’imperatore in veste di storico “ ufficiale “ e fu anche capo di stato maggiore di Ney prima di saltare il fosso e passare agli alleati nel 1813; riuscì a comprendere molti concetti di Bonaparte ma nei suoi scritti postumi questi concetti li mise in relazione a principi del 18° secolo che non erano certo quelli messi in atto da Napoleone. Il secondo a scrivere fu Von Clausewitz che raccolse gran parte degli insegnamenti bellici di Napoleone nel suo Vom Kriege ( di cui troverete almeno tre capitoli nel settore storia) che divenne la “ Bibbia” militare di von Moltke e del conte von Schlieffen. La difficoltà maggiore che incontra qualsiasi studioso della strategia di Napoleone è il trovarsi di fronte al problema non certo da poco, che Bonaparte non formulò mai un suo preciso sistema di guerra per iscritto. Il motivo è che egli voleva deliberatamente lasciare all’oscuro i suoi contemporanei inclusi i suoi marescialli; questo atteggiamento era la conseguenza più evidente del “ genio “ napoleonico molto pratico e poco teorico. Ne consegue che nel suo modo di condurre le campagne militari si possono vedere tante variazioni e adattamenti da portarci alla conclusione che egli non possedesse alcun “ sistema”. Guardando le sue affermazioni come “ Je n’ai jamais eu plan d’operation” ( Non ho mai avuto un piano di operazioni ) sembra darci conferma di questo ma se si studia attentamente la sua voluminosa “ Corrispondance” ci si accorge come in molte situazioni si sia comportato veramente all’opposto. Spesso a causa delle ambiguità derivanti dalla scelta sbagliata dei vocaboli, è piuttosto facile interpretare in modo non corretto il vero significato delle sue dichiarazioni. Questo succede perché Napoleone non riuscì mai a imparare alla perfezione tutte le sottigliezze e le raffinatezze della lingua francese; egli dettava ai suoi segretari i quali passavano letteralmente parola per parola le loro annotazioni a Berthier, capo di stato maggiore, perché le trasformasse in istruzioni scritte. Comunque Napoleone non si attenne mai strettamente a determinati principi, ma sviluppò e mutò continuamente le sue idee a seconda delle situazioni in cui si trovava ad operare. Spesso adattò i suoi consigli in funzione dell’abilità e della capacità dei soldati e degli uomini politici a cui erano diretti, e facendo questo sovente sembrava contraddire le sue massime più importanti. La mente di una persona geniale, come rivelano i suoi ordini e i suoi scritti, è per forza di cose molto complessa e spesso contorta come lo è la strategia; i fatti valgono molto più delle parole e di conseguenza qualsiasi studio sul modo di combattere di Napoleone dovrebbe cominciare con la conoscenza di quanto realmente avvenne.




In realtà, come abbiamo detto all’inizio di questo capitolo, Napoleone trovò un esercito già formato e temprato alla guerra dai suoi predecessori dell’ ” Ancien Régime “ e della Rivoluzione come pure egli adottò molte delle idee sulla strategia e sulla tattica bellica che i teorici e i condottieri che lo avevano preceduto avevano concepito. Napoleone infatti a parte qualche rara eccezione, non fu un vero e proprio innovatore, piuttosto sviluppò e perfezionò idee già proposte da altri; egli seppe vedere meglio di chiunque altro le grandi possibilità offerte dall’esercito e dalle dottrine militari francesi di quel periodo e fece il possibile per riunirle e sfruttarle a fondo. Non apportò molte innovazioni all’arte della guerra o all’esercito francese ad eccezione delle vittorie che riuscì ad ottenere trasformando quello che era teoria e solo teoria in pratica. Napoleone, ricordiamolo, fin di tempi della scuola di Auxonne veniva considerato un “ divoratore di libri” dai quali estraeva delle idee, che a lui sembravano importanti e che immagazzinava nella sua sorprendente memoria. Lentamente le idee provenienti da fonti diverse iniziarono ad unirsi e ad amalgamarsi nella sua mente matematica, eliminava quelle non essenziali, per prendere quella che erano per lui la sintesi della verità; piano piano iniziarono ad emergere i concetti fondamentali sulla guerra che dovevano poi dominare i ventisette anni che seguirono. Fu dunque dai libri più che dall’esperienza diretta sul campo di battaglia che Napoleone trasse inizialmente le sue più importanti idee strategiche; poi alla luce delle sue esperienze personali venivano modificate e adattate. Scrisse anni dopo: “ Ho combattuto sessanta battaglie e non ho imparato nulla che non sapessi già”. Forse non era proprio così come volle far credere perché questa affermazione demolirebbe il mito di Napoleone come stratega e come generale. Furono pochi infatti i soldati dell’epoca che riuscirono a raccogliere nel corso della propria vita tanta esperienza quanta ne raccolse Napoleone. Diceva sempre “ Leggete e meditate sulle guerre condotte dai più grandi condottieri, questo è l’unico mezzo per imparare in maniera più esatta la scienza della guerra”. E da queste letture imparò non solo e sempre attraverso i successi , ma anche dagli errori e dalle manchevolezze dei suoi condottieri preferiti come condurre una guerra e come vincere una battaglia. Nelle sue linee fondamentali la filosofia di Napoleone sulla guerra era semplice ed essenziale; nel momento in cui si veniva a creare una situazione di conflitto tra la Francia e un’altra potenza, Bonaparte si muoveva senza ritardi o esitazioni per distruggere con tutti i mezzi a disposizione l’esercito del nemico di turno infrangendone anche nel contempo la volontà di opporre ulteriore resistenza. I mezzi da usare per raggiungere questo scopo dovevano essere i più rapidi e i più violenti possibili; nel 1797 dichiarò che “ In Europa vi sono molti bravi generali ma essi guardano troppe cose tutte in una volta, mentre io vedo una cosa sola e cioè la parte più forte dell’esercito nemico. Io cerco di annientarla, pensando che le questioni meno importanti si sistemeranno da sole”. E’ questo il tema fondamentale del pensiero di Napoleone sulla guerra: l’attacco “BLITZKIEG” rivolto a distruggere quello di più importante che possiede il nemico, cioè il suo esercito. Questo modo di fare la guerra era un passaggio dalle usanze cavalleresche vigenti nel 18° secolo ad un sistema più duro e privo di scrupoli, ed è evidente che Napoleone seguì molto gli insegnamenti di Federico il Grande il quale nelle “ Istruzioni Segrete “ del 1748 inviate ai suoi comandanti , indicava il tipo di guerra che poi Bonaparte avrebbe perfezionato.


Federico il Grande di Prussia



Infatti egli sosteneva che “ Le nostre guerre dovrebbero essere brevi e violente, dato che non è nostro interesse tirare la cosa per le lunghe. Infatti una lotta prolungata condotta lentamente logora il nostro ammirevole senso di disciplina e produce come unico risultato lo spopolamento del nostro paese e l’esaurimento delle nostre risorse”. Egli dava anche indicazioni su quali erano i mezzi migliori per ottenere un risultato veloce e risolutivo: “ Dovrete costringere il nemico a combattere appena vi avvicinate ; a mezzo di marce forzate vi porrete alle sue spalle e taglierete le vie di comunicazione o, in alternativa, minaccerete una città il cui controllo sia per lui di vitale importanza…”. Questi concetti come vedremo in seguito saranno caratteristici della strategia di Napoleone. Federico il Grande continuava sostenendo che: “ Tuttavia dovrete prestare molta attenzione nel compiere questo genere di manovra, per non trovarvi voi stessi coinvolti in quella scomoda situazione… Sono le battaglie che decidono il destino di una nazione”. Federico condannava senza dubbio le “ guerre di posizione” e di espansione territoriale nelle quali spesso si cadeva nel periodo in cui visse. Chi decideva di combattere doveva prendere l’iniziativa e mantenerla a tutti i costi; bisognava resistere a qualsiasi tentazione di dividere l’esercito, bisognava ricorrere a qualsiasi mezzo, astuzia, tradimento, distruzione del territorio avversario pur di raggiungere lo scopo prefissato. Il nemico doveva essere colto di sorpresa: “ In linea di massima qualsiasi mossa alla quale il nemico non sia preparato lo sconcerterà e lo costringerà ad abbandonare la sua posizione… Le migliori battaglie sono quelle in cui costringiamo un nemico riluttante ad accettarle”. Possiamo constatare che Napoleone fa suoi questi principi: “ E’ sul campo di battaglia che si decide la sorte di fortezze e di imperi”. E ancora “ In guerra tutto ciò che può essere utile è lecito”.
Anche se Napoleone sostenne sempre che le idee di Federico erano esatte, era anche certo che egli non possedeva, nell’ epoca in cui visse, il mezzo per realizzarle.


Federico il Grande di Prussia




I PRINCIPALI ELEMENTI CHE COMPONGONO LA GUERRA NAPOLEONICA

La caratteristica più evidente del modo di combattere di Napoleone è senza dubbio la sua illimitata flessibilità e variabilità; la sua condotta durante l’azione non fu mai legata a dei principi, ma vi furono alcune regole importanti di combattimento che egli tenne sempre in grande considerazione. Egli parla molto spesso di dover tenere sempre in considerazione i “ principi della guerra” ma leggendo un passo tratto dalle sue Maximes chiarisce in modo più preciso il significato che attribuisce alla frase sopra indicata e spesso ripetuta:
Tutti i grandi generali dell’antichità, come pure quelli che hanno degnamente seguito le loro orme, compirono le loro epiche gesta sottostando alle regole ed ai principi dell’arte strategica, cioè con l’ortodossia dei loro piani ed un attento equilibrio di mezzi e risultati, sforzi ed ostacoli. Essi hanno avuto successo solo perché qualunque sia stata d’altra parte la temerarietà delle loro imprese e la vastità delle loro operazioni, hanno accettato queste regole. Non cessarono mai di fare della guerra una vera e propria scienza. Essi costituiscono i grandi esempi da seguire e solamente imitandoli possiamo sperare di emulare le loro gesta”. Per Napoleone era necessaria una audace azione offensiva e ripeteva: “ Fate la guerra attaccando: è l’unico modo per diventare un grande comandante e capire a fondo i segreti dell’arte bellica”. Il desiderio di essere aggressivi non dovrebbe mai portare ad attaccare solamente per il piacere di farlo; bisogna sempre avere presenti le esigenze della sicurezza. L’insieme di questi due fattori che sembrano in aperto contrasto tra loro era per Napoleone “ una difesa ben ponderata e circospetta seguita da un attacco rapido e audace”. Dunque egli preferiva attaccare da una posizione forte ( il centro operativo) concio di avere le linee di comunicazione sicure e con un nemico che aveva rivelato le sue intenzioni e i suoi eventuali errori di posizione. Non gli piaceva prepararsi ad una campagna in maniera rapida e incompleta; diceva sempre: “ Sono abituato a pensare a quello che farò con tre o quattro mesi di anticipo e baso i miei calcoli tenendo conto di tutte le situazioni, anche le più avverse”. Napoleone prevedeva sempre un piano alternativo ; infatti dopo aver stabilito quale doveva essere la sua strategia principale, egli prendeva sempre in considerazione ogni altra possibile alternativa per essere certo che le sue disposizioni generali avrebbero potuto fronteggiare anche circostanze inattese. “Niente si ottiene in guerra se non per mezzo di precisi calcoli. Nel corso di una campagna qualsiasi cosa che non venga considerata a fondo in ogni dettaglio non da risultato. Ogni impresa dovrebbe venire condotta secondo un dato sistema; il caso da solo non è mai apportatore di successo”. Napoleone nonostante le sue affermazioni tenne sempre conto della parte affidata al caso e chiedeva che gli effetti negativi che poteva produrre fossero minimizzati tramite una attenta previsione. Ogni piano di Napoleone, sia per la marcia di giorno che per l’intera campagna, comprendeva un margine di tempo in più per fronteggiare ciò che era imprevedibile. Era raro che egli non sapesse come comportarsi ; la sua memoria enciclopedica e la sua acutezza mentale gli consentivano di prendere in considerazione a volte con giorni di anticipo ogni possibile situazione. Una volta affermò che: “La scienza militare consiste nel calcolare per prima cosa ed accuratamente tutte le eventualità possibili e quindi dare al caso il posto esatto , quasi matematico, nei propri calcoli. E’ su questo punto che non bisogna sbagliare , perché perfino un decimale in più o in meno può capovolgere tutto. Ora questo insieme di intuizione e di scienza non può essere presente che nella mente di un genio… Eventualità, caso , sorte, chiamatela come vi pare, mentre è un mistero per gli uomini normali, diventa una realtà per gli uomini dotati di intelligenza superiore”. Per garantire la sicurezza delle operazioni dell’esercito Napoleone era solito far stendere una cortina di false informazioni e di sicurezza affinché gli agenti nemici non riuscissero ad avere notizie vere, oppure venivano diffuse di proposito false notizie destinate alla conoscenza del nemico; inoltre Napoleone per aumentare la sicurezza , aveva l’abitudine di modificare continuamente la consistenza delle sue forze principali per ragioni logistiche e tattiche, aggiungendo da una parte una divisione, togliendo una brigata da un’altra parte . In questo modo si riusciva sempre a confondere il nemico sulla consistenza reale delle forze che si trovava a fronteggiare.


Esercito prussiano



Wellington disse una volta: “ Tutta l’arte bellica consiste nel riuscire a scoprire cosa c’è dall’altra parte della collina o, in altre parole, nell’accertare quello che sappiamo e quello che non sappiamo “. “ La rapidità nell’azione è l’elemento essenziale e preponderante nella strategia napoleonica”. Infatti la velocità e la mobilità era la caratteristica fondamentale nelle sue campagne ed era anche l’aspetto della sua strategia che metteva in difficoltà il nemico che erano per tradizione strategica molto più lenti. Un esempio fa comprendere quanto detto sopra e viene dai cosiddetti “ grognards” quando affermavano che “ L’imperatore ha scoperto un nuovo modo di fare la guerra; usa le nostre gambe al posto delle nostre baionette”. E Napoleone affermava: “ Le marce sono la guerra”. Questo nell’esercito francese era reso possibile da tre elementi: l’autodisciplina e la relativa indipendenza delle divisioni e dei corpi d’armata; la consuetudine di poter fare a meno dei convogli di rifornimenti vivendo delle risorse locali; la ferrea volontà e la fermezza dell’imperatore il quale poteva adulare , tiranneggiare e stimolare i suoi uomini perché gli dessero cieca obbedienza . Napoleone disse una volta che “ La perdita di tempo è irreparabile in guerra”. E ancora: “ La strategia è l’arte di fare buon uso del tempo e della distanza. Sono meno parsimonioso con la seconda che con il primo; la distanza può infatti essere recuperata, il tempo mai”…” Potrei perdere una battaglia, ma non perderò mai un minuto”…..” Il tempo è l’elemento compensatore fra massa d’urto e forza di penetrazione”. In condizioni di normalità i soldati percorrevano in media tra i 18 e i 20 Km al giorno; il vero segreto delle sue Blitzkrieg era proprio nella scelta delle strade più brevi per raggiungere i punti prestabiliti piuttosto che chiedere agli uomini sforzi non sopportabili. L’obiettivo fondamentale era quello di radunare il maggior numero possibile di uomini sul campo di battaglia spesso stabilito da tempo. Napoleone poteva dire che : “per un generale l’attitudine alle manovre è l’arte suprema; è uno dei doni più utili e rari dai quali si riconosce il genio”. Ovviamente le marce e le manovre avevano un unico obiettivo finale e cioè ottenere il più rapidamente possibile una situazione tattica favorevole. Per Napoleone era indispensabile riunire il maggior numero possibile di soldati per impiegarle tutti insieme in battaglia; ma avere questo concentramento non voleva necessariamente significare riunire in un punto preciso un gran numero di reparti. Il decentramento prima dell’azione era cosa altrettanto importante quanto il concentramento durante lo scontro. Prima di una battaglia era più utile per Napoleone “ adunare “ le truppe più che concentrarle; e per adunata egli intendeva il posizionamento del maggior numero di unità a distanza di marcia dal luogo stabilito per la battaglia. Come era importante avere disponibili il maggior numero di soldati per la “ dannata decisione” del giorno dopo, così era altrettanto importante che prima del combattimento le truppe fossero distribuite in modo tale da rendere possibile l’intervento di un reparto pronto a rinforzare qualunque settore a cui Napoleone l’avesse destinato nei suoi ordini di combattimento senza dover per questo effettuare grandi spostamenti. Poi siccome la situazione in battaglia poteva rapidamente cambiare le divisioni dovevano essere disposte in modo da far fronte a qualsiasi improvviso bisogno senza per questo creare momenti di panico o di disorganizzazione. Il segreto del successo della tattica di Bonaparte risiede nella costituzione di reparti disposti in campo con la massima accortezza; il fronte che l’armata napoleonica occupava nei vari periodi passò dai 120 Km in Italia nel 1796 ai 200 del 1805 e ai 400 del 1812 in Russia. I vantaggi di questi fronti così estesi erano tre: Il primo che lo schieramento non permetteva al nemico di sapere da quale parte sarebbe iniziato l’attacco principale; l’adattabilità operativa offerta da un fronte lungo consentiva a Napoleone di intrappolare il nemico in qualsiasi zona egli avesse deciso di creare un concentramento di forze; In terzo luogo il nemico era costretto a sua volta a dispiegare tutte le sue forze per coprire l’intera linea del fronte e questo rendeva più semplice la sua distruzione non appena la trappola preparata si fosse richiusa su di lui. La grande adattabilità e mobilità strategica era uno dei grandi segreti a cui attribuire il successo di Napoleone; aggiungo inoltre che l’estensione del fronte iniziale non dipendeva dal numero di soldati a disposizione poiché egli sosteneva che ogni settore del fronte doveva essere tenuto. L’elemento base della strategia di Napoleone è racchiuso in queste parole: “L’esercito deve essere tenuto riunito e la maggior forza possibile concentrata sul campo di battaglia”. Dunque la dispersione iniziale lasciava il posto ad un concentramento delle forze graduato in base a quanto si avvicinava il momento dello scontro. In questo modo Napoleone riuscì a fondere il combattimento con la manovra e ciò gli permise di dare il suo grande contributo all’arte della guerra.



Tutti i suoi piani strategici sono rivolti alla battaglia decisiva e tutti i movimenti delle sue truppe per poter fronteggiare ogni possibile situazione di combattimento; e questo ribaltando i concetti del 18° secolo che distinguevano nettamente il compiere le manovre dall’ingaggiare la battaglia adottando vari tipi di formazioni per ciascun caso. Napoleone fuse sempre la marcia, il combattimento e l’inseguimento in una unica azione continua. Uno degli elementi più importanti del successo napoleonico fu il sistema dei corpi d’armata infatti ciascun corpo d’armata era nelle condizioni di impegnare per molte ore una forza nemica anche molto superiore e in questo lasso di tempo le formazioni più vicine potevano correre in suo aiuto o prendere il nemico alle spalle. Questo permetteva all’esercito di muoversi in gruppi divisi tra loro con un notevole vantaggio per i rifornimenti e per la velocità di movimento, riuscendo ad ingannare il nemico. Questa apparente dispersione delle forze era sempre sotto controllo dato che l’esercito era “ riunito” lungo una unica linea di operazione in formazioni divise; ricordiamo il Batallion carrè che per esempio era in grado di eseguire un concentramento rapido in due giorni non appena la situazione di combattimento lo riteneva necessario. Guibert sosteneva che “ L’abilità tattica consiste nello spiegare le proprie forze senza esporle, nel circondare il nemico senza disperdersi, nel coordinare i propri movimenti o l’attacco per sorprendere il nemico lateralmente, senza esporre il proprio fianco”. Nel riunire i vantaggi e gli svantaggi del concentramento e della dispersione e nel fondere questi due elementi apparentemente contraddittori in una unica operazione bellica, Napoleone dimostrò il suo vero genio militare. Proprio usando i principi dell’azione offensiva, della velocità, sicurezza, riunione e concentramento Napoleone riuscì a sorprendere i suoi nemici e un nemico preso di sorpresa voleva dire un nemico demoralizzato. Ma non bastava ancora perché egli aveva la necessità di avere l’assoluta obbedienza dei suoi soldati ed egli cercò sempre con ogni mezzo di guadagnarsela e siccome secondo un suo principio che “ Se il coraggio è la prima caratteristica del soldato, la perseveranza è la seconda” e che “ Il coraggio non si compra”, egli cercò di parlare al cuore dei soldati . Poi un sistema accurato di ricompense come per esempio l’ambita “ Legion d’Onore” ed altro, permisero di ottenerne l’assoluta dedizione. E gli uomini l’amavano per il suo almeno apparente interessamento alla loro carriera ed al loro benessere. Era capace di mandare molti di essi incontro a morte certa senza preoccuparsene più di tanto ed anche ad abbandonare interi eserciti al loro destino come vedremo in Egitto e poi in Russia qualora essi non avessero raggiunto lo scopo desiderato. Il comportamento di Napoleone verso i suoi uomini era un enigma, e non solo quello, ma non ci sono dubbi sul fatto che riuscisse a legarli al suo servizio oltre che ad ispirarli. Wellington parlando di Napoleone diceva “ Ero solito dire di lui che la sua presenza sul campo di battaglia rappresentava una differenza di 40.000 uomini in più”. Tornando alla strategia napoleonica possiamo dire che egli non apportò molte cose nuove sul piano strategico che già non esistessero precedentemente; infatti tutti i generali hanno sempre tentato entro i limiti delle possibilità di ottenere velocità, sorpresa, concentramento e tutto il resto .


De Broglie, Gribeauval e Guibert



Il sistema di guerra napoleonico doveva la maggior parte della sua attuabilità a tre importanti cose ereditate dall’Ancien Règime e dalla Rivoluzione. La prima cosa fu l’idea di dividere gli eserciti in divisioni autonome; tale concetto era stato espresso dal maresciallo Broglie che nel 1761 scrisse un libro nel quale descriveva i principi su cui furono poi basati i sistemi napoleonici delle divisioni e dei corpi d’armata. Il sistema non fu più usato dopo la morte di Broglie fino a che non fu ripreso nel 1793 da Guibert con le divisioni permanenti divise in 4 demi- brigades e adottato definitivamente per gli eserciti scaturiti dalla Rivoluzione. Napoleone ereditò dai suoi predecessori un esercito pronto e innovato profondamente che continuò a perfezionare e a potenziare fino a che non riuscì ad ottenere la formazione perfetta ( il corpo d’armata) con la quale attuare i suoi principi di guerra mobile a grande raggio.La seconda cosa che Napoleone ereditò dalla Rivoluzione fu l’idea di “ vivere delle risorse del posto”; una decisione che all’inizio apparve molto azzardata ma che in seguito si rivelò vincente tanto che egli continuò ad usarla sempre onde non appesantire l’esercito con una fila interminabile di carri che ne avrebbe sicuramente rallentato la velocità e ridotta la flessibilità. Ed infine terzo, la Rivoluzione dette a Napoleone un sistema di promozioni che lasciava aperte le possibilità di carriera a chi aveva veramente talento ; con questo sistema si poteva selezionare chi aveva la predisposizione mentale innata per comandare e fu questa selezione attuata dalla Rivoluzione che consentì a lui di compiere le imprese che noi tutti conosciamo. Il primo prodotto e il più evidente di questo sistema di promozioni era non a caso proprio lui Bonaparte. Scrisse infatti uno storico riferendosi a Napoleone che “ Fino all’ultimo egli ebbe una certa idea, cioè la carrière ouverte aux talents , gli strumenti a chi è capace di maneggiarli”.

Termina questa breve ma intensa descrizione di alcune delle principali idee strategiche e tattiche di Napoleone; dal prossimo capitolo riprenderemo a parlare degli eventi storici legati alla vita e alla carriera di Bonaparte


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Ricordo ai lettori dei miei articoli, a cui rivolgo i più sentiti ringraziamenti, le mie pubblicazioni di storia del periodo 1918/1946 che si trovano in vendita nelle librerie:

-- 8 settembre 1943 fine di un sogno di gloria. Editori dell'Acero, 2001
-- Dalla democrazia al regime 1919-1929 i primi anni del fascismo. Editori dell'Acero, 2003
-- Hitler e Stalin il tempo dell'amicizia e il tempo della guerra... Editori dell'Acero, 2004
-- Salò e l'Italia nella guerra civile. Edizioni Ibiskos, 2005
-- 25 luglio 1943 - La fine inconsapevole di un regime. Edizioni Ibiskos, 2007