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Il Regio Esercito nella Grande Guerra
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Scritto da Cutolo   

Lo scoppio della 1^ Guerra Mondiale vide l'esercito italiano entrare in campo il 24 maggio 1915 con l'avanzata oltre il confine. L'Esercito di fronte alla terribile prova decuplicò gli effettivi, potenziò l'arma aerea, creò corpi speciali, introdusse definitivamente il mezzo meccanico nei suoi ranghi.
Lo sforzo organizzativo fu davvero imponente sia nel campo operativo che logistico. La massa dei mobilitati da gestire in toto, mise a dura prova lo strumento che reagì a questa improvvisa crescita. Gli anni di guerra fino a Caporetto videro l'Isonzo protagonista delle battaglie; i primi successi di rilievo furono proprio della 6^ battaglia dell'Isonzo, che portò nell'estate del 1916 alla conquista di Gorizia. La 12^ ed ultima battaglia segnò, invece, la sconfitta di Caporetto nell'ottobre 1917.

Le eroiche battaglie d'arresto sul Piave e sul Grappa (10 novembre - 4 dicembre) tamponarono la falla e nel 1918 il Piave (15-24 giugno) e Vittorio Veneto (24 ottobre - 4 novembre) segnarono la definitiva vittoria. Durante il 1° conflitto l'esercito italiano fu impiegato anche su fronti esteri. Fu la Francia con il II Corpo d'Armata che combatte valorosamente a Bligny (15-23 luglio) ed allo Chemin des Dames (10-12 ottobre 1918). In Albania e in Macedonia le truppe italiane occuparono Durazzo (29 dicembre 1915), Monastir (18 novembre 1916) e vinsero la battaglia di Malakastra (6-9 luglio 1918).
Aridi dati statistici della grande guerra si possono riassumere in oltre 4.000.000 di mobilitati, circa 600.000 caduti e 1.500.000 di feriti e invalidi.

Gli elmetti

L'ELMETTO DEL 15'-18': Lo scoppio della 1^ Guerra Mondiale vide il Regio Esercito entrare in campo il 24 maggio 1915 con l'avanzata oltre il confine. L'equipaggiamento dei nostri soldati rispettava i canoni del tempo. Un solo particolare mancava quasi completamente fra le voci dei materiali distribuiti: l'elmetto.
Diciamo quasi completamente poichè erano presenti per la Cavalleria di Linea ed i Dragoni dei bellissimi elmi con cimiero che avevano più funzione decorativa che altro. Ma la terribile guerra di trincea contro le posizioni asburgiche aggrappate ad alpi e prealpi, obbligò la scelta di un copricapo che proteggesse la testa, primo bersaglio aldilà di un riparo e del bordo delle trincee. Tale capo di equipaggiamento, in effetti presente fin dalla antica grecia, scomparso dopo il medioevo, tornava a completare l'uniforme del combattente per non lasciarlo mai più.
Prodotti nelle fogge più disparate, attraverso concorsi pubblici come per l'elmetto francese "Adrian", realizzato da un artista, oppure lo Sthalhelm tedesco, frutto degli studi di un medico o quello inglese a padella realizzato in tale forma bizzarra per ragioni storiche, oggi si sono uniformati alla sagoma dell'elmetto tedesco Modello 35 e seguenti.


L'elmo Adrian

GLI ELMI DA CAVALLERIA: Simbolo per antonomasia dei soldati di cavalleria, le sue origini risalgono al lontano 1820, anno in cui Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna, approvò un nuovo tipo di copricapo destinato al reggimento di cavalleria Piemonte Reale. Esso era composto da una coppa in metallo giallo lucido con la parte inferiore fasciata da pelliccia d'orso di colore nero e recante, nella parte inferiore, un bordo anch'esso in metallo giallo. La visiera era in cuoio pure ricoperto di pelliccia. I sottogola erano in cuoio ricoperti da scaglie d'ottone come squame di pesce, uniti da una fibbia in metallo. Il cimiero in lamierino d'ottone, era ricurvo e spiovente in avanti. Riccamente intarsiato con motivi in rilievo, ricopriva la parte superiore dell'elmo dal coprinuca alla fronte, fino sopra il fregio dove presentava un disco ovale ornato con un motivo a volute. Il fregio a rilievo, posto sulla parte frontale, era in ottone composto da un'aquila coronata ad ali spiegate con uno scudo ovale nel petto ed al suo interno la croce sabauda, contornata da fronde d'alloro e quercia, uno stendardo per parte con croce sabauda all'interno.
Durante le cerimonie e con la grande uniforme, l'elmo era guarnito da una criniera nera, lunga fino a metà schiena, fissata sulla punta anteriore del cimiero tramite un supporto a forma di testa di leone in ottone sbalzato. Sulla parte sinistra del copricapo, in corrispondenza dell'attacco del soggolo, era fissato un piumetto di colore turchino dell'altezza di 20 cm.
Nel 1822, questo copricapo fu esteso anche al reggimento dragoni di Genova apportando soltanto qualche lieve modifica come il colore della coppa che era in metallo argentato o alpacca ed il cimiero che si prolungava maggiormente nella sua parte terminale ed era più ricurvo. Durante le cerimonie, e con la grande uniforme, era guarnito con una cresta in ciniglia azzurra invece della criniera con leone e del piumetto turchino. Quando nel 1828 fu costituito il reggimento dei Dragoni di Piemonte, l'elmo sopra descritto venne anche a loro esteso e dal 1833 fu definitivamente prescritto per tutti i reggimenti di cavalleria ad eccezione del reggimento Piemonte Reale cavalleria che conservò il caratteristico copricapo fino al 1840 anno in cui fu unificato in una stessa foggia per tutti i reggimenti di cavalleria.
Tre anni più tardi, siamo nel 1843, il vecchio fregio con l'aquila in ottone fu abolito e sostituito con la croce sabauda in metallo argenteo delle dimensioni di circa 10 cm per 10, di circa 2,5 cm. di spessore. Sempre nel medesimo anno fu introdotto l'uso di una coccarda turchina (colore della casa Savoia) da collocarsi al di sotto dell'attaccatura dell'orecchione sinistro. Questa coccarda, sostituita nel 1848 da un'analoga ma tricolore, era in seta per gli ufficiali ed i marescialli, in lana per i sottufficiali ed in corame stampato e verniciato per la truppa.
Nel 1872 fu prescritto l'uso dell'elmo soltanto per i primo quattro reggimenti di cavalleria, ossia Nizza, Piemonte Reale, Savoia e Genova.
Con tale elmo, la Cavalleria Italiana affrontò la 1^ Guerra Mondiale, avendo cura di coprire il rutilante copricapo con un apposito telino verde. Sul davanti era cucita una croce nera che replicava la croce sabauda metallica applicata all'elmo. L'elmo del colonnello comandante di reggimento era dotato di una speciale nappina che riproduceva una granata esplodente con fiamma e croce sabauda che veniva fissata all'estremità dell'orecchione sinistro tramite due viti e che portava, fissata attraverso una tulipa, un pennacchio (aigrette) di airone. Questo accessorio era usato durante le cerimonie ufficiali.


L'elmo di cavalleria

I CASCHI FARINA: Il casco Farina rappresenta un importante punto di riferimento per ciò che riguarda l'evoluzione dell'elmetto da combattimento. Più o meno con l'invenzione della polvere da sparo, l'elmo e le corazze medioevali perdono d'importanza fino a scomparire del tutto. E' con la prima guerra mondiale che l'elmetto torna sui campi di battaglia per non abbandonarli più e, il primo ad essere adottato dal nostro Esercito è proprio il "Farina". L'elmo fu distribuito alle squadre di guastatori, composte da fanti e genieri ed addette alla rimozione degli ostacoli passivi sul campo di battaglia a premessa dell'azione delle fanterie. L'elmo fu ideato e costruito dall'ingegner Ferruccio Farina, il cui laboratorio si trovava in Via Ruffini 10 a Milano. Questo nome e questo indirizzo si trovano, infatti, sul timbro ovale che era applicato all'interno della falda anteriore dell'elmo e che riportava, in cifre romane, anche la taglia (I - II - III). L'elmo era composto da tre parti principali dipinte con vernice opaca antiriflesso grigio verde. La calotta, in lamiera ovoidale cui era fissata con otto chiodini ribattuti, la falda anteriore, composta da quattro fogli d'acciaio sovrapposti e tenuti assieme da cinque chiodini ribattuti, e la falda posteriore anch'essa in lamiera e dell'altezza di circa quattro centimetri. Ai lati della testa, all'altezza delle orecchie erano fissati, con due ribattini, altrettanti riporti in lamiera cui era attaccato il soggolo in cuoio grigio verde con fibbia in metallo. La falda anteriore di 8 o 12 centimetri distingueva il modello chiamato "alto" dal modello denominato "basso". Il modello "alto" raggiungeva un peso di circa 2.250 gr. mentre il modello "basso" si aggirava sui 1.850gr.
Nei primi modelli non era stato previsto alcun sistema d'aerazione perciò successivamente si applicò la calotta in lamiera all'esterno delle falde di protezione permettendo così una migliore circolazione dell'aria. Anche in questi modelli successivi denominati "con aerazione" si trovano sia le versioni a falda anteriore "alta" che "bassa". Il problema dell'aerazione fu risolto definitivamente con l'adozione di una cresta tipo elmo "Adrian" che aveva la funzione di coprire un foro effettuato sulla sommità della calotta. Anche questa modifica venne effettuata sugli elmi di entrambi i modelli cui se ne aggiunse una terza versione intermedia fra la "alta" e la "bassa".
Non esisteva un'imbottitura di serie e gli utilizzatori lo indossarano inizialmente sul berretto da campo indossato all'indietro. Successivamente fu adottata una cuffia di stoffa trapuntata ed imbottita con crine di cavallo ed ovatta. In alcuni casi, furono anche fissati due pezzi di caucciù all'interno della falda anteriore per migliorare la stabilità dell'elmo.
Nonostante tutti i tentativi per migliorarne la vestibilità , l'elmo "Farina" rimase uno strumento scomodo e pesante. La produzione si fermò con la massiccia distribuzione del Modello 15 e successive varianti.


L'elmo Farina

Le uniformi

L'Uniforme Grigio Verde entrò ufficialmente in uso con la circolare n.458 del 4 dicembre 1908 per tutte le Armi ad eccezione della Cavalleria che inizierà ad indossarla soltanto dall'anno successivo (Circolare n. 97 del Giornale Militare del 3 febbraio 1909). Lungo fu il periodo di accavallamento fra le vecchie uniformi blu e la nuova tenuta che equipaggiò al completo l'Esercito a partire dal 1913.
Composta da una giubba ed un pantalone di panno pesante, con piccole differenze se destinata ad Armi a Piedi (Fanteria, alcune specialità di Artiglieria e Genio) o Armi a Cavallo (Cavalleria, Artiglieria e Carabinieri) subirà costanti modifiche per meglio adattarla alla vita di trincea. La giubba, ampia e comoda "ma in modo che si acconci con garbo alla persona" era ad un petto, con colletto in piedi, chiusa da una bottoniera nascosta di cinque bottoni di frutto. Spallini a salsicciotto erano fissati all'attaccatura delle maniche che terminavano con dei paramano a punta.
Un gilet di taglio classico veniva indossato sotto la giacca. I pantaloni erano per le Armi a Piedi di due tipi, da montagna e non, differenziati sostanzialmente dalla lunghezza ed ampiezza dello stesso.


Fante e Alpino

IL GRIGIO VERDE: L'Uniforme con cui il soldato italiano affrontò la "Grande Guerra", era il frutto degli esperimenti condotti ai primi novecento con le prime divise grigioverdi. E' curioso notare come il via alla ricerca di una uniforme di combattimento più adatta ad una guerra moderna, venne dato da un civile. Luigi Brioschi infatti, presidente della sezione milanese del Club Alpino Italiano, colpito dai resoconti sulla guerra russo giapponese e dal numero inaudito delle perdite provocate dalle nuove tecniche di combattimento, si pose il problema se non fosse tempo di sostituire le uniformi blu scuro del nostro esercito, con qualcosa di meno appariscente.
Questo signore, entrato in contatto con il comandante del Battaglione alpini "Morbegno" del 5° Reggimento, Tenente Colonnello Donato Etna, anche lui interessato al problema, e presentato da questi al Colonnello Stazza, Comandante del Reggimento, offrì per primo parte dei fondi necessari ad avviare la sperimentazione. In breve, dimostrata la validità delle loro teorie con una dimostrazione a fuoco, dove delle sagome di legno verniciate con i colori delle uniformi in uso venivano centrate dai fucilieri a 600 metri di distanza quasi il cento per cento delle volte mentre quelle grigie lo erano infinitamente meno, il terzetto ottenne il finanziamento del progetto. E così nacque l'Uniforme Grigio Verde che ha accompagnato il soldato italiano per circa un quarantennio.


Cavalleggero e Aviatore in grigio-verde