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Carri armati tedeschi e italiani nella II^GM - IV^ Parte
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Scritto da Mario Ragionieri   

Abbiamo concluso la terza parte parlando delle operazioni dell’estate 1942 sul fronte russo ed in particolare di una città che fu simbolo di una lotta tremenda e di una svolta decisiva nella II G.M.: Stalingrado.
Nei capitoli precedenti, e continuerò anche in questo, ho parlato del fronte russo perché, come vedremo, è qui che non solo si svolge la parte più significativa della storia della II G.M. (teniamo sempre presente che il 70% delle forze tedesche erano impiegate su questo fronte e non solo tedesche ma italiane ungheresi, rumene, spagnole, finlandesi slovacche ecc.) ma anche la storia delle grandi battaglie con e tra carri armati avvengono su questo fronte. Qui si combattono i carri più forti e si confrontano le tecnologie in condizioni ambientali che vanno dai +40 °C in estate ai –40 °C in inverno dunque estreme; questa situazione non la troveremo in nessun altro fronte.


Dunque ai primi di settembre il Feldmaresciallo von List volle mettere in chiaro all’Alto Comando Supremo che le forze di cui disponeva non erano sufficienti per raggiungere gli obiettivi nel Caucaso e si rendeva pertanto necessaria una completa riorganizzazione del fronte. La sua opinione per quanto condivisa e appoggiata da Jodl non riuscì a convincere Hitler che provvide alla sostituzione di von List e del Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht Halder che la pensava come lui. Il petrolio del Caucaso era diventato ormai una necessità da raggiungere per il gruppo dirigenziale tedesco e così Hitler assunse personalmente la direzione delle operazioni di quelle stremate unità pur di raggiungere gli obiettivi. Il gruppo Armate A era ridotto a circa 20 divisioni di cui 15 tedesche e le sue tre divisioni corazzate contavano i totale solo 300 carri. Il 20 settembre fu oltrepassato il Terek e la 13° Panzerdivision continuò a spingersi in avanti con un ritmo abbastanza sostenuto.
I pozzi petroliferi erano veramente a portata di mano; si trattava solo di fare l’ultimo balzo in avanti ma le divisioni tedesche erano stremate dopo settimane di continui scontri e questo impose una pausa per rifornirsi di carburante e di munizioni, fare riparare i mezzi e ricevere nuovi complementi. Ci vollero quattro settimane per fare questo prima di poter riprendere l’offensiva; sarebbe stata l’ultima. La 37° armata sovietica venne sbaragliata lasciando in mano tedesca 7000 prigionieri. Il 5 novembre i tedeschi si resero conto di aver consumato tutte le riserve e, sottoposti a continui contrattacchi da parte sovietica iniziarono a cedere. A metà novembre un repentino cambiamento delle condizioni atmosferiche pose fine a tutti i tentativi di rimettere in moto il fronte. Anche sull’ala destra, presso la 17° armata gli attacchi contro Baku, Tiflis e Batum erano falliti con gli obiettivi a portata di mano. I tedeschi si erano trincerati in attesa.
Perché l’attacco era fallito? Semplicemente perché i sovietici anziché farsi insaccare dai tedeschi e quindi doversi arrendere, ripiegavano in ordine lasciando ai tedeschi ampi territori. Le unità sovietiche venivano poi riprese in mano dai comandanti che con queste ricostituivano un nuovo fronte pronto a combattere compatto contro i tedeschi le cui linee di rifornimento si allungavano in modo pauroso. Importanti divennero in questa zona i rifornimenti americani che attraverso l’Iran e il mar Caspio raggiungevano le truppe sovietiche rifornendole di materiali, armi e soprattutto carri armati di fabbricazione americana con moltissimi automezzi.


Il 19 agosto 1942 il generale Paulus, comandante della 6° armata tedesca emanò gli ordini per l’attacco diretto alla città di Stalingrado. Le unità tedesche attraversarono il Don il 21 agosto e raggiunsero due giorni dopo la periferia nord di Stalingrado sede degli imponenti stabilimenti industriali. Anche l’azione di Hoth con la sua 4° Panzerarmee che aveva aggregati elementi corazzati rumeni riuscì a procedere abbastanza bene anche se non riuscì ad effettuare la manovra a tenaglia prevista per la forte resistenza incontrata; tuttavia i reparti tedeschi e rumeni il 3 settembre riuscirono a prendere le colline sul Volga al limite occidentale di Stalingrado e avanzarono verso il fiume. Il 10 Hoth aveva conquistato tutto il settore tranne Beketowka che rimase in mano dei russi e fu uno dei punti di partenza della controffensiva sovietica. All’inizio la penetrazione all’interno di Stalingrado avvenne abbastanza rapidamente; tra la metà e la fine di settembre i tedeschi si impossessarono di gran parte della città, ma non riuscirono a cacciare i russi da quella parte della riva del Volga che costituiva il centro del grande agglomerato urbano che si estendeva per circa otto chilometri, congiungendosi ad una importante via di comunicazione che portava a Krasnaja Sloboda. Iniziarono così estenuanti combattimenti nell’abitato dove i mezzi blindati potevano ben poco. Infatti già da metà settembre in poi i tedeschi sospesero gli attacchi con massiccio impiego di carri armati limitandosi ad impiegarli in combattimento come copertura della fanteria e a piccoli gruppi con l’appoggio dell’artiglieria e dell’aviazione. I combattimenti all’interno della città divennero infernali; le unità corazzate non esistevano più come complessi organici e gli uomini che fino allora erano avanzati a bordo dei veicoli da combattimento ora si muovevano alla meglio come potevano tra i cumuli di macerie che sbarravano il passo.

 


Alla fine di ottobre i tedeschi controllavano i nove decimi della città, ma proprio in quei giorni prese sempre più corpo la minaccia di una controffensiva sovietica. I Russi avevano ammassato un notevole quantitativo di forze e data loro disposizione non era difficile prevedere una manovra a tenaglia per rinchiudere in una grande sacca la 6° armata. Il rapporto di forze era nettamente favorevole ai sovietici che disponevano di 900 mezzi corazzati, 13540 tra cannoni e mortai ripartiti in oltre 50 divisioni. Il 14° Panzerkorps era costituito da meno di 200 carri cui si aggiungevano i circa 84 del 48°e circa altri 150 divisi tra 27° divisione corazzata tedesca e 1° divisione corazzata ungherese entrambe in fase di riorganizzazione. Buona parte dei carri erano del modello cecoslovacco 38 e c’erano circa 10.000 cannoni e mortai.
Alle cinque del mattino del 19 novembre 1942 i russi scatenarono l’attacco; dopo una imponente preparazione di artiglieria la 21° Armata, la 65° armata e la 5° armata corazzata mossero all’attacco contro la 3° armata rumena che sotto quel poderoso colpo crollò completamente. Il tentativo di ripristinare la continuità del fronte da parte del 48° Panzerkorps non sortì effetti apprezzabili; in realtà il corpo disponeva solo di 90 carri che si ridussero della metà nel giro di tre giorni. L’altro braccio della tenaglia sovietica fu lanciato il 20 novembre a sud di Stalingrado nella zona di Beketowka. Le armate russe 51° e 57° travolsero la 4° armata rumena che non era certo in grado di resistere alla pressione sovietica. Solo il 21 von Paulus si rese conto della gravità della situazione; i carri sovietici si erano stati spinti nella zona di Kalac ed erano stati costretti a convergere arrivando a pochi chilometri dal comando della 6° armata mentre un altro nucleo riuscì a conquistare il ponte sul Don interrompendo il flusso dei rifornimenti tedeschi. La 6° armata era ormai accerchiata e l’accerchiamento poteva trasformarsi in una stretta mortale. L’unica via di uscita era quella di tentare una sortita e il Comando del Gruppo di Armate era perfettamente d’accordo. Invece nel frattempo dal Comando Supremo era arrivato l’ordine di resistere, in attesa di chiarire meglio la situazione che si era creata e di inviare i rinforzi e comunque von Paulus e il suo Stato Maggiore si resero conto che anche se fosse stata presa subito la decisione di contrattaccare per aprirsi un varco, questo non poteva avvenire prima del 26 o 27 novembre.
Il Comando Supermo tedesco decise di affidare a Manstein l’incarico di formare un nuovo Gruppo Armate nell’ansa del Don con lo scopo preciso di ”fermare gli attacchi nemici e riconquistare le posizioni da noi precedentemente occupate”; un modo per dire di risolvere quel gravissimo problema e la scelta non poteva essere migliore per capacità ed esperienza. Von Manstein fu senza dubbio alcuno il migliore cervello militare della seconda guerra mondiale.

 


equipaggio di un Panther


Così da un giorno all’altro Manstein si ritrovò a comandare la 6° armata accerchiata a Stalingrado, la 3° armata rumena piuttosto malridotta, il 48° Panzerkorps che non esisteva più avendo orami solo 40 carri efficienti e la 4° Panzerarmee che era a sua volta tagliata in due dal braccio meridionale della tenaglia russa. Manstein aveva una sola unità completamente efficiente la 16° Panzergranadieren che si trovava in quel momento a 240 chilometri dal Don. Per il carattere freddo e razionale di Manstein la situazione non era ancora catastrofica. I suoi primi interventi furono quelli di riunire le forze rimaste efficienti per cercare di liberare l’armata circondata. Formò un nuovo corpo d’armata che ricevette tre divisioni: la 11° Panzerdivision, la 336° di fanteria e la 7° divisione campale della aviazione. Pochi giorni dopo giunse una nuova divisione corazzata la 6° e ancora due divisioni la 62° e 294° di fanteria al posto delle divisioni rumene e ancora un’altra divisione campale della aviazione. Con queste unità fresche più quello che restava delle unità precedentemente assalite e scompaginate dalla offensiva sovietica Manstein cercò di ricostruire un fronte con l’intenzione di riprendere l’iniziativa per togliere dalla sacca la 6° armata di Paulus.

LA FINE DELLA 6° ARMATA A STALINGRADO

Intorno alla metà di dicembre la situazione della 6° armata ormai rinchiusa nella sacca era diventata precaria. I rifornimenti erano possibili solo per via aerea e von Paulus aveva calcolato che per rifornire decentemente i suoi 250.000 uomini, 8.000 cavalli, 1.800 cannoni e 10.000 automezzi accerchiati fossero necessarie circa 700 tonnellate al giorno di rifornimenti; Goring aveva assicurato che 500 tonnellate erano possibili ma sbagliò i conti in modo clamoroso. Il ponte aereo durato 70 giorni permise una media di circa 94 tonnellate di rifornimenti perdendo 488 velivoli in gran parte da trasporto. Unico punto a favore di tutto questo ma è una consolazione magra, fu che circa 25.000 feriti furono evacuati dalla sacca. Manstein aveva messo a punto un piano per liberare le unità intrappolate denominato ”Tempesta d’inverno”. Il piano doveva essere eseguito dalla 4° Panzerarmee di Hoth e prevedeva due tempi: il primo era quello di un attacco autonomo in forze contro il perimetro della sacca tenuto dai sovietici; il secondo un attacco alla riva sinistra del Don e il congiungimento con il 58° Panzerkorps per poi investire le difese esterne dei sovietici e aprire una profonda breccia. Entrambe le soluzioni non potevano prescindere dall’intervento della 6° armata che alla parola convenzionale ”Colpo di Tuono” doveva spezzare l’assedio e congiungere i suoi reparti mobili con quelli di Hoth. La situazione generale non era certo favorevole a Manstein anche se il piano era bel concepito; intanto avvenne il crollo inaspettato della 8° armata italiana sul fronte di Voronezh e di conseguenza anche altre posizioni furono travolte sul basso Chir.


carro Elefant


In realtà non deve sorprendere il crollo italiano come quello rumeno e come quello ungherese. Le posizioni tenute da queste armate erano troppo vaste per le forze di cui disponevano ed era chiaro che se i sovietici avessero concentrato l’attacco in un sol punto con forze rilevanti niente avrebbe potuto fermarli. Non fu incapacità di combattere degli italiani ma lo scarso armamento e la troppa diluizione con cui essi tenevano il fronte senza avere alle spalle unità di emergenza e di rincalzo. Questo i tedeschi lo sapevano benissimo ma erano così concentrati sul problema ”Stalingrado” che non vollero vedere le avvisaglie di una nuova offensiva sovietica che veniva segnalata insistentemente contro alcune unità italiane; e fu il disastro!

La mattina del 18 dicembre Manstein disponeva di tre divisioni corazzate e cioè della 6° della 17° e della 23° anche se la 23 aveva solo 30 carri efficienti. Era giunto il momento di scatenare Tempesta d’inverno e von Paulus doveva solo rispondere alla chiamata con l’operazione Colpo di Tuono. Ma Paulus non ebbe la volontà di farlo! A Stalingrado le forze tedesche accerchiate assommavano a 13 divisioni di fanteria, 3 divisioni corazzate, 3 motorizzate e una antiaerea per un totale di circa 230.000 uomini.
Le tre divisioni corazzate erano la 14°, la 16° e la 24°. La maggior parte di queste forze secondo l’opinione di Manstein avrebbero potuto essere portate in salvo con l’azione combinata di Tempesta d’inverno e Colpo di tuono. Hoth ai primi di dicembre aveva ammassato le sue forze e il 12 aveva iniziato l’avvicinamento al perimetro esterno della sacca con in testa il 57° Panzerkorps con i fianchi coperti da elementi riorganizzati della 4° armata rumena e l’appoggio di due divisioni campali dell’aviazione. La punta d’attacco procedeva con un convoglio di circa 800 autoveicoli di preda bellica per la maggior parte (americani e inglesi presi nel Caucaso) che trasportavano 3000 tonnellate di rifornimenti per la 6° armata. Hoth riuscì ad aprirsi un ampio varco attraverso la 51° armata sovietica che teneva quel settore; il 17 dicembre i primi carri sovietici raggiunsero il fiume Aksaj
Largo 250 metri e completamente ghiacciato. A quel momento Manstein non conosceva ancora quali fossero le intenzioni di Paulus che era stato avvistato fin dal 10 dicembre di tenersi pronto ad andare incontro a Hoth ; l’atteggiamento di Paulus era sembrato a tutti piuttosto evasivo. Paulus infatti era convinto che la 6° armata se adeguatamente rifornita dall’aria, avrebbe potuto resistere ancora per molto tempo; la sortita era vista da Paulus come una specie di resa e su questo punto il comandante risultò irremovibile. La sortita era per Paulus semplicemente impossibile e che comunque Hitler aveva ordinato di resistere. Hoth intanto procedeva abbastanza speditamente travolgendo le difese sovietiche e raggiungendo Myskova. Ma Paulus nonostante le esortazioni anche molto pesanti di Manstein che lo invitava ad iniziare l’operazione Colpo di Tuono, non aveva nessuna intenzione di muoversi anche perché per il carburante che lui diceva di non avere, poteva, riducendo del trenta per cento i veicoli a sua disposizione, raggiungere tranquillamente Hoth salvando e usando i carri ed i mezzi rimasti più efficienti. La 4° Panzerarmee aveva raggiunto la massima penetrazione nelle linee sovietiche come gli era stato assegnato nel quadro dell’operazione e Hoth era sulle spine in attesa di sapere cosa faceva la 6° Armata. I russi avevano continuato ad immettere forze per tamponare l’attacco di Hoth e dunque se Paulus non si muoveva immediatamente i russi avrebbero aumentato le forze che separavano Hoth dalla sacca rendendo ogni giorno di più impossibile il forzamento dell’assedio. Niente da fare anche un intervento presso Hitler risultò vano in quanto Paulus aveva comunicato che con la benzina a sua disposizione poteva percorrere si e no venti o trenta chilometri. Resosi conto che non c’era più nulla da fare il giorno 22 dicembre Manstein ritirò dall’operazione ”Tempesta d’inverno” la 23° Panzerdivision per inviarla subito sul fronte del Don e il giorno di Natale dovette fare la stessa cosa con la 6° divisione per arginare i sovietici nel settore italiano.
Paulus dunque lasciato al suo destino (ma lo aveva voluto lui quel destino) capitolò il 30 gennaio 1943 e le ultime forze tedesche si arresero il 1° di febbraio. Fu così catturato quanto restava della 6° armata: un Feldmaresciallo (Paulus appena promosso) 24 generali e 90.000 uomini e un grosso quantitativo di mezzi e di armi nonché di carri e di cannoni.
La perdita della 6° armata rappresentò un indebolimento notevole di quello che era la Panzerwaffe tedesca.


Panzer III


Breve cenno ai corazzati alleati che furono impiegati nelle brigate carri sovietiche.

La fornitura dei mezzi corazzati avvenne tra l’autunno del 1941 e l’autunno del 1943, con una particolare concentrazione nella primavera - estate del 1942; da parte americana su 7056 carri inviati, ne giunsero a destinazione 5258 così suddivisi:
750 Grant, 250 Lee, 150 Stuart, 1990 Sherman con cannone da 75, 2075 Sherman con cannone da 76, inoltre 6300 veicoli corazzati e semicingolati del tipo M2 e M3.
Gli inglesi fornirono 7200 mezzi corazzati di cui ne giunsero a destinazione solo 4460 di cui:
200 Bren Carrier, 1300 Valentine, 1500 Matilda II, 1410 Churchill dalla III serie in poi.
Il Canada fornì 138 Valentine di cui ne giunsero 1188.
Forse più di ogni altra cosa un peso determinante nell’economia bellica sovietica ebbero i 400.000 autocarri Anglo–Americani che contribuirono notevolmente a motorizzare l’Armata Rossa fino ad allora quasi priva di veicoli da trasporto efficienti.
In tutta la pubblicistica sovietica c’è la tendenza a sottovalutare l’apporto alleato alla macchina bellica sovietica. Il fatto che colpisce è un altro e cioè che questi aiuti giunsero in gran parte nel 1942, in un momento di particolare crisi in cui versavano i reparti russi.


T34 russo


Continua la nostra storia

Il 17 febbraio 1943 Guderian fu richiamato da Hitler in servizio per fronteggiare quel periodo di particolare crisi in cui versava la produzione di carri tedeschi e soprattutto il suo rinnovamento tecnico. Guderian si dichiarò disposto ad accettare ponendo alcune condizioni e cioè la dipendenza diretta da Hitler, e che doveva essergli consentito di influire sullo sviluppo dei mezzi corazzati sia per quello che faceva l’ufficio armamenti dell’esercito, sia presso il ministro Speer; doveva presiedere all’organizzazione di tutti i reparti corazzati compresi quelli della Luftwaffe e delle Waffen-SS; infine dovevano dipendere da lui le scuole delle truppe corazzate e i reparti corazzati della riserva.
Hitler nel riceverlo dichiarò ”Nel 1941 le nostre strade si sono divise. Vi fu allora una serie di malintesi che deploro assai. La prego di rimettersi a disposizione. Io ho bisogno di lei”.
La Panzerwaffe ritrovava il suo creatore e molti trassero un sospiro di sollievo; ma sarebbe bastato Guderian a risollevare le sorti delle truppe corazzate?
Al disastro di Stalingrado seguì inaspettatamente un nuovo successo tedesco ma non fu per un miracolo; fu il risultato di rischi accuratamente calcolati e della conseguente strategia messa in atto da una delle menti più razionali e brillanti del corpo degli ufficiali dello Stato Maggiore tedesco: quella di Fritz Erich von Manstein.

Dopo Stalingrado la situazione del Gruppo Armate del Don era alquanto precaria tanto che i Corpi di Armata e le stesse divisioni avevano perduto la loro struttura originaria; con elementi corazzati isolati, nuclei contraerei e resti delle divisioni campali dell’Aviazione, erano stati costituiti dei ”Distaccamenti d’Armata” messi agli ordini di ufficiali energici come Hollidt, Mieth, Fretter- Pico e Kempf che coprivano fronti anche di 150 Km.
La 1° armata guardie sovietica cercava intanto di arrivare a Rostov; von Manstein ordinò al 48° Panzerkorps e all’11° Panzerdivision di abbandonare le posizioni sul Chir e intercettare la 1° Armata Guardie. Con una azione combinata le divisioni corazzate 6° e 11° aggirarono un intero corpo corazzato delle guardie e lo distrussero; questa vittoria allontanò la minaccia su Rostov. Ma in altre zone la situazione rimaneva grave a causa della pressione che i sovietici esercitavano sul debole sistema difensivo tedesco. Rostov era di nuovo sotto minaccia da Sud dove i russi cercavano di prendere la città per sbarrare la strada al Gruppo di Armate di Kleist che nel frattempo stava risalendo dal Caucaso. Manstein affrontò con estrema decisione il problema manovrando come era suo solito con estrema rapidità e contando su unità comandate da ufficiali capaci e risoluti. Hoth e Balck riuscirono a risolvere la situazione pericolosa battendo i russi e sloggiandoli dalla testa di ponte che avevano occupato; il pericolo da sud per la città di Rostov era cancellato, ma la situazione rimaneva molto precaria a causa della pressione esercitata dai russi su tutti i settori del fronte e che non accennava a diminuire.
Alla fine di gennaio i sovietici investivano Kursk e la occupavano, stessa sorte toccava a Belgorod il giorno dopo; i tedeschi erano costretti ad abbandonare Krasnodar e la pressione su un'altra grande città, Carkov aumentava in modo impressionante e a stento il 2° Corpo corazzato SS riusciva a contenere. Il 17 febbraio la città fu abbandonata. Ma il piano di Manstein cominciava chiaramente a delinearsi nella sua completezza; il suo obiettivo era quello di fare allungare il più possibile le linee di rifornimento sovietiche e quindi passare con le forze raccolte alla controffensiva. Era riuscito infatti a realizzare un forte concentramento di truppe corazzate per tagliare alla base il profondo saliente che i sovietici avevano formato spingendosi in avanti.

Hitler molto preoccupato per quanto stava accadendo, volò al Quartier Generale di Manstein proprio nel momento in cui una formazione sovietica di T34 passava a distanza di tiro dal comando stesso. Resosi conto che la situazione non era poi così disperata come pensava e anche in base a quanto abilmente Manstein riuscì a fargli intravedere per il futuro, Hitler tornò al suo comando restando in ottimi rapporti con Manstein stesso. Il Gruppo di Armate del Don venne ribattezzato Gruppo di Armate Sud e aveva sotto di se tutte le forze tedesche comprese tra il Mar d’Azov e il settore orientale di Kursk.
Il 22 febbraio 1943 scattò la controffensiva di Manstein con varie divisioni corazzate tra cui da ricordare le due divisioni Panzergrenadiere SS ”Leibstandarde” e ”Das Reich” (furono trasformate in Panzerdivisionen solo nell’ottobre 1943) più la divisione Panzergrenadiere ”Gross Deutscheland”; queste divisioni disponevano tutte di un battaglione pesante di Pz VI Tiger. Il 48 Panzerkorps mosse da Barvenovka e sorprese lo schieramento avversario con una mossa rapidissima; la 17 Panzerdivision sfondò l’intero schieramento avversario mentre lo SS Panzerkorps raggiunse Losovaya ricongiungendosi con il distaccamento Kempf che aveva iniziato l’attacco più a Ovest. La 1° armata Guardie e il Gruppo corazzato Popov rimasero intrappolati e furono distrutti; entro il 6 marzo le unità di Hoth e il Distaccamento Kempf presero tra due fuochi la 3° e 69° armata sovietica distruggendo 615 carri armati. Il 15 marzo le unità del 2° SS Panzerkorps entravano nuovamente a Charkov e tre giorni dopo Hoth rioccupava Belgorod; nel giro di tre settimane von Manstein riuscì a riportarsi sulla linea di partenza dell’autunno precedente e a ristabilire un fronte continuo da Taganrog a Belgorod. L’inizio del disgelo gli avrebbe permesso di riorganizzare le sue unità senza il pericolo di un nuovo contrattacco russo a breve scadenza. Una parte importante del successo tedesco spettava ai battaglioni Tiger; ormai divenuti efficienti dal punto di vista tecnico, i nuovi carri imposero la loro superiorità qualitativa dovuta all’ottimo cannone da 88mm e alla protezione ben costruita e posizionata nonché ai cingoli particolarmente studiati che permettevano di avventurarsi su terreni dove i T 34 difficilmente potevano passare.

Guderian riorganizza la Panzerwaffe

Guderian nel nuovo incarico di Ispettore Generale dell’Arma Corazzata, si trovò a dover affrontare una serie di importanti e delicati problemi organizzativi di non facile ed immediata soluzione. Guderian sosteneva che ” E’ meglio avere poche divisioni forti che molte con equipaggiamento ridotto. Queste ultime hanno bisogno di una grande quantità di automezzi, di carburante e di personale, che risultano sproporzionati rispetto alla loro efficacia; sono un peso, sia per i comandi che per i rifornimenti e non fanno che intralciare le strade ”.


Secondo lui le Panzerdivisionen dovevano tornare ad un organico di 4 battaglioni carri come concepito in origine, per un totale complessivo di 400 veicoli da combattimento. Inoltre Guderian vedeva i pezzi semoventi (Sturmgeschutz) accentrati nelle divisioni corazzate ed auspicò che tutta la produzione di mezzi corazzati venisse destinata interamente alle Panzerdivisionen.
Guderian nonostante le difficoltà e le resistenze in seno all’Alto Comando tedesco, trovò un alleato nel Ministro per gli armamenti Albert Speer e riuscì a modificare radicalmente la Panzerwaffe trasformandola in una formidabile forza d’urto più presto di quanto lo stesso Hitler si aspettasse. Il 19 marzo 1943 furono presentati ad Hitler i nuovi PZ IV muniti di ”grembiuli”, il carro Ferdinand con l’88 mm L/70 e il cannone ferroviario Gustav da 800mm.


carro Ferdinand


Con i 90 Ferdinand prodotti fu costituito un reggimento su due battaglioni che venne assegnato al 47° Panzerkorps; intanto venne accelerata la produzione del PZ V e la ditta costruttrice si impegnò a consegnarne 324 esemplari per la fine di maggio 1943. Il 4 maggio 1943 in una riunione dello stato Maggiore e dei comandanti dei Gruppi di Armata dell’Est si discusse dell’opportunità di passare all’offensiva sul fronte orientale. La proposta venne dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito Zeitzler; egli si proponeva di distruggere il saliente di Kursk mediante una doppia manovra avvolgente. Secondo Zeitzler l’impiego dei nuovi carri Tiger e Panther avrebbe permesso di riprendere l’iniziativa. Le obiezioni principali vennero dal comandante della 9° armata Model che dimostrò, in base alla grande documentazione fotografica in suo possesso scattata da aerei di ricognizione, che in quel settore i russi erano attestati saldamente con un profondo sistema difensivo. Anche von Manstein con motivazioni diverse si dichiarò contrario all’idea e altrettanto fece Guderian che spostò il problema sulla inaffidabilità che ancora dimostravano di avere i Panther e difficilmente eliminabile in poco tempo; in questo era chiaramente appoggiato da Speer che era presente alla riunione come responsabile della produzione bellica. Anche Hitler era contrario all’attacco infatti incontrandosi con Guderian alla domanda: ” Che necessità c’è quest’anno di attaccare nell’est, mio Fuhrer? ” si sentì rispondere: ” Ha proprio ragione. Quando penso a quest’attacco mi viene il voltastomaco”.
Alla fine però Zeitzler la ebbe vinta e il 4 luglio ebbe inizio ”l’operazione Cittadella”.

La Battaglia di Kursk (Zitadelle)

I russi avevano concentrato nel saliente di Kursk 12 corpi corazzati, 16 brigate meccanizzate e 54 divisioni motorizzate per un totale di 1.337.000 uomini; avevano inoltre ammassato circa 20.000 pezzi di artiglieria di cui 6.000 cannoni controcarro da 76,2 e 920 lanciarazzi Katiuscia. Il numero dei carri armati era di 3306 gli aerei a disposizione 2.650 e tutta la zona era stata sistemata a difesa con postazioni trincerate e con vasti campi minati che in alcuni punti raggiungevano una densità di 4.000 mine per Kmq. I russi sapevano da informazioni di vario genere che i tedeschi avrebbero tentato una operazione in quella zona e avevano predisposto adeguate difese.
Contro questo formidabile baluardo i tedeschi potevano lanciare al massimo 37 divisioni di cui 16 corazzate oltre alla Panther Brigade che operava indipendentemente. Complessivamente i tedeschi disponevano di 900.000 uomini di circa 2700 mezzi corazzati tra carri e semoventi, di 10.000 cannoni e 2.050 aerei.
L’operazione ”Zitadelle” ebbe inizio alle 03,00 pomeridiane del 4 luglio 1943 con una breve ma devastante preparazione di artiglieria in concomitanza di un attacco aereo. Il 48° Panzerkorps si aprì un varco nelle linee sovietiche e si spinse in avanti; sulla sua scia durante la notte la ”Gross Deutschland” avrebbe dovuto spingere in avanti i suoi carri ma improvvisamente una pioggia violentissima rese il terreno impraticabile: la seconda linea sovietica ebbe buon giuoco e l’attacco si arenò.

L’unità si raggruppò di nuovo e passò all’attacco tra il 5 e il 6 ma venne sottoposta ad attacchi aerei particolarmente efficaci e poi incappò in vasti campi minati che misero a dura prova i pionieri. Per la prima volta il Panzer Abteilung 300 usò il carro Goliath un carro radiocomandato che serviva ad aprire varchi nei campi minati. I Goliath trasportavano 91 Kg. di esplosivo la cui deflagrazione riusciva ad aprire un passaggio di 45 metri di larghezza.
Il giorno 7 i tedeschi con la Gross Deutschland riuscirono a sloggiare i russi da Ssyrzew e quindi questa unità impegnò combattimento con formazioni corazzate avversarie. Intervennero le formazioni di Stuka di Hans Rudel armati con cannoncini da 37 mm nella versione anticarro con ottimi risultati. La 3° divisione corazzata stava scalzando i russi dalle posizioni sul Pena e a sera i carri del 48° Panzerkorps riuscirono ad attraversare il fiume. Sulla destra le divisioni di Hoth e le tre divisioni del 2° Panzerkorps SS avevano aperto una breccia per proprio conto ed erano penetrate in profondità ma stavano subendo pesanti attacchi sui fianchi.
I tedeschi nonostante il fallimento nell’impiego del Ferdinand e alla scarsa affidabilità dimostrata dai Panther riuscirono la sera del 9 ad aggirare una potente linea di artiglieria sovietica e ad effettuare il congiungimento tra il 48° Panzerkorps e la divisione SS Leibstendarte; entro l’11 i tedeschi avevano rastrellato tutti i villaggi a cavallo del Pena ed avevano respinto i russi indietro. Ma la resistenza russa si stava irrigidendo e a mezzogiorno del 12 circa 600 carri tedeschi presero contatto con la 5° armata sovietica che schierava due brigate di nuovi semoventi SU-85 per contrastare i Tigre La battaglia che ne seguì imperversò fino a sera e alla fine il terreno era cosparso per chilometri di carcasse di carri di ogni tipo; i tedeschi subirono perdite notevoli.


Il giorno 13 Hitler improvvisamente dette ordine di sospendere Zitadelle a causa dello sbarco avvenuto in Sicilia da parte degli Alleati che faceva temere il tracollo dell’Italia. Il 2° SS Panzerkorps doveva essere immediatamente ritirato da Kursk e trasferito in occidente; von Manstein tentò di opporsi ma non ci fu niente da fare e l’operazione Zitadelle finì nel nulla anzi l’improvviso arresto dei tedeschi fornì a Zukov il pretesto per una immediata controffensiva. Affermò in seguito von Manstein: ” In nessun modo dovevamo mollare il nemico fino a che le riserve mobili che aveva impegnato non fossero state definitivamente battute”. Forse nel dire questo era nel giusto o forse mancava di realismo. In ogni caso Zitadelle rappresentò il ”giro di boa” della guerra.

Nel prossimo articolo parleremo della guerra in Africa settentrionale e delle conseguenze dello sbarco in Sicilia.
Grazie come al solito a tutti i fedeli lettori

MARIO RAGIONIERI

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Ricordo ai lettori le mie pubblicazioni di storia del periodo 1918/1946 che si trovano in vendita nelle librerie:

-- 8 settembre 1943 fine di un sogno di gloria. Editori dell'Acero, 2001
-- Dalla democrazia al regime 1919-1929 i primi anni del fascismo. Editori dell'Acero, 2003
-- Hitler e Stalin il tempo dell'amicizia e il tempo della guerra... Editori dell'Acero, 2004
-- Salò e l'Italia nella guerra civile. Ed.Ibiskos, 2005